spot_img

ENEL, 800 ALUNNI HANNO ADERITO AL PROGETTO “SCHOOL4LIFE”

0

Sono circa 800 gli studenti di 25 scuole italiane su tutto il territorio nazionale che hanno aderito al progetto “School4Life”. Nato dalla collaborazione del Gruppo Enel con ELIS, nell’ambito del programma di sostegno all’educazione di qualità (SDG 4) dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite, il  progetto si propone una duplice finalità: da un lato, far conoscere ai ragazzi le opportunità offerte dalla transizione energetica e orientarli verso i mestieri del futuro, offrendo loro un ventaglio di competenze articolato e al passo con i tempi; dall’altro, contrastare l’abbandono scolastico e la povertà educativa con un approccio metodologico basato sulla sperimentazione e sul learning by doing. Il progetto, inoltre, intende diffondere tra i giovani la consapevolezza dell’importanza degli SDGs (Sustainable Development Goals) ONU e far conoscere il contributo che le imprese possono dare in termini di sviluppo sostenibile.

 “Investire nell’educazione alla sostenibilità, nella formazione e nell’istruzione delle nuove generazioni è da sempre uno dei capisaldi dell’attività di Enel, oltre che uno dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU”, commenta Filippo Rodriguez, Responsabile Sostenibilità Italia di Enel. E aggiunge: ‘School4Life’, oltre a permettere a più di 800 ragazzi di conoscere le opportunità offerte da un modello di sviluppo sostenibile, contribuirà alla divulgazione degli obiettivi delle Nazioni Unite, a facilitare la comprensione degli aspetti di sostenibilità legati al business e a far emergere importanti competenze trasversali, contrastando l’abbandono scolastico e la povertà educativa”.

 Dichiara Pietro Cum, Amministratore Delegato di ELIS: “Il modello educativo ELIS cerca di mettere in relazione tre aspetti chiave: competenze specialistiche, apprendimento in assetto lavorativo e virtù umane. Ma perché i giovani si aprano alla formazione, è necessario riuscire a ispirarli, mettendoli in contatto con le professioni del futuro e facendo vivere loro delle vere esperienze sul campo. Questo progetto, che portiamo avanti al fianco di Enel nell’ambito delle attività di Sistema Scuola Impresa, crea un ponte tra scuola e azienda, con un focus particolare sui temi della sostenibilità”.

 L’iniziativa, già partita in 15 Istituti Superiori, vede il coinvolgimento di esperti del Gruppo Enel in qualità di maestri di mestiere, role model e mentor. I primi, opportunamente formati da ELIS insieme al corpo docente delle scuole coinvolte, hanno il mandato di avvicinare i ragazzi al mondo del lavoro: dopo una parte teorica,  i maestri di mestiere Enel affiancheranno gli studenti in progetti concreti, che simulano sfide e problemi realistici, e costituiranno dei punti di riferimento per stimolare creatività ed espressione dei singoli talenti. I role model, con le loro testimonianze, avranno invece il compito di motivare e incoraggiare gli studenti; i mentor, infine, li accompagneranno in un percorso di sviluppo focalizzato su soft skills, trend digitali, diversity&inclusion, sostenibilità e innovazione, competenze irrinunciabili per un futuro sostenibile.

Nelle scuole medie (10 in totale) sarà invece la presenza di giovani “ambassador” delle scuole superiori affiancati dai role model Enel, a incoraggiare i ragazzi nell’intraprendere studi tecnici e percorsi innovativi indirizzati al mondo dell’energia. Al termine del percorso, una visita virtuale dell’Azienda per far conoscere da vicino ai giovani studenti il percorso verso la transizione energetica e l’innovazione sostenibile intrapreso da Enel.

 

 

 

UN “CASE STUDY” DELL’UNIVERSITA’ DI OXFORD SU ENEL INNOVATION

0

 

La Saïd Business School dell’Università di Oxford ha pubblicato un case study dal titolo “Enel: pathways to purposeful transformation through shared value and innovation” (https://www.sbs.ox.ac.uk/sites/default/files/2021-04/Enel-Case-Study.pdf). Lo studio è stato redatto da Carlos Blanco, Marcel Metzner e Judith Stroehle, tutti membri della Rethinking Performance Initiative della Saïd Business School.

Di fronte alla sfida del cambiamento climatico, il settore energetico sta vivendo una radicale trasformazione, nel passaggio dalla generazione di energia centralizzata basata sui combustibili fossili alle energie rinnovabili e ad altre soluzioni energetiche sostenibili. Enel ha assunto un ruolo di primo piano nella transizione energetica e ha adeguato il suo purpose aziendale, la sua mission e la sua strategia agli SDG (Sustainable Development Goals, Obiettivi di sviluppo sostenibile) delle Nazioni Unite. In particolare, il Gruppo punta direttamente su quattro SDG principali: SDG 7 (Energia pulita e accessibile), SDG 9 (Imprese, innovazione e infrastrutture), SDG 11 (Città e comunità sostenibili), tutti al servizio dell’SDG 13 (Lotta contro il cambiamento climatico).

Attraverso la combinazione di Open Innovability® e creazione di valore condiviso, Enel sta affrontando le crescenti sfide del settore, promuovendo al contempo una forte cultura di apertura a tutti i livelli dell’organizzazione, tramite l’impegno del proprio management. Grazie a queste caratteristiche, Enel è ben posizionata per contribuire ad un futuro più sostenibile e inclusivo per il settore energetico.

Tutto ciò rientra nell’impegno che Enel si è assunta con il proprio purpose aziendale: “Open Power for a brighter future. We empower sustainable progress“, che è stato integrato in tutte le attività del Gruppo, a partire dal piano strategico.

La leadership di Enel in materia di sostenibilità è riconosciuta a livello globale attraverso la presenza del Gruppo in numerosi tra i più autorevoli indici e ranking di sostenibilità, come i Dow Jones Sustainability Indices World e Europe, gli MSCI ESG Leaders Indices, la serie FTSE4Good Index, la CDP Climate “A” List, gli indici Euronext Vigeo-Eiris 120, l’indice STOXX Global ESG Leaders, il rating “Prime” di ISS, il Refinitiv TOP 100 Diversity and Inclusion Index, il Bloomberg Gender-Equality Index, l’Equileap Gender Equality TOP 100 Ranking, gli indici ECPI e i Thomson Reuters/S-Network ESG Best Practices Indices.

Il Gruppo sta riscuotendo sempre più attenzione da parte di investitori socialmente responsabili, la cui quota nella società è in costante crescita e rappresenta oggi circa il 13,4% del capitale di Enel, un valore più che raddoppiato rispetto al 2014. Un aumento in linea con la crescita d’importanza degli elementi non finanziari nella creazione di valore sostenibile a lungo termine che testimonia il rafforzamento della leadership di Enel a livello globale in termini di sostenibilità.

Questa strategia è stata analizzata a fondo nel case study dell’Università di Oxford ed è stata recentemente confermata dal CFO di Enel, Alberto De Paoli, che ha sottolineato l’importanza di creare valore per tutti gli stakeholder, non soltanto per gli azionisti, procedendo verso una nuova forma di capitalismo chiamata ‘stakeholder capitalism’. Oggi una strategia che ruota intorno alla sostenibilità è l’unico modo per un’azienda di fare business e sopravvivere a lungo termine, anche a livello finanziario.

Ulteriori informazioni sul webinar dedicato alla visione strategica per il 2030 di Enel con il CFO di Enel Alberto De Paoli sono disponibili all’indirizzo: https://www.enel.com/it/azienda/storie/articles/2021/02/rivoluzione-energia-meetenel

 

 

ALLA SCALA DEI TURCHI NUOVO CROLLO (video)

0

Nuovo crollo alla Scala dei Turchi, l’imponente falesia di marna bianca a picco sul mare lungo la costa siciliana di Realmonte, in provincia di Agrigento (nella foto principale di Luigi Filice). Un’altra porzione della roccia s’è sgretolata, precipitando sulla spiaggia che era fortunatamente deserta in questa stagione. “Mentre Comune e Privato discutono nelle opportune sedi sulla titolarità del bene, solo la Procura ha agito!”, commentato l’associazione ambientalista Mareamico (Delegazione Di Agrigento), che ha condiviso questo video su Facebook.

La vertenza sulla proprietà di questa suggestiva scogliera inizia nel dicembre 2019, quanto la Procura di Agrigento apre un’inchiesta dopo la caduta di alcuni massi. La Capitaneria di porto viene incaricata di svolgere una serie di accertamenti, per risalire alla proprietà dei terreni. A rivendicarla è da sempre Fernando Sciabarrà, 73enne agrigentino.

Per la Capitaneria non ci sono atti pubblici che lo dimostrino in modo inconfutabile e definitivo. E Sciabarrà, intanto, viene indagato per non aver installato cartelli di pericolo sul luogo dell’erosione, per danneggiamento del patrimonio archeologico e per occupazione abusiva dello spazio demaniale marittimo e comunale (nella foto qui sotto, la spiaggia frequentata dai bagnanti – Luigi Filice).

scala-dei-turchi-2

Ora la perizia affidata dal gip Luisa Turco a due consulenti sembra ribaltare tutto. La Scala dei Turchi non è di proprietà pubblica, ma semmai sarebbe privata. Lo certificherebbe un atto del 1948, in cui “i passaggi di proprietà della particella sembrano sufficientemente provati”. Per le altre particelle, esistono diversi documenti (datati 1889, 1930 e 1974). E “seppur non si riscontra un atto dirimente sulla proprietà – come scrivono i periti – Sciabarrà ne vanta il possesso da diversi decenni”.

I due consulenti del magistrato, anzi, redarguiscono il Comune di Realmonte per “non aver trasmesso atti” sulla vicenda, puntando il dito contro tutti gli enti che “non hanno messo in atto azioni volte all’acquisizione dei beni o alla dichiarazione di pubblica utilità”. E ciò nonostante abbiano ribadito in diverse occasioni “la volontà di preservare il bene attraverso l’apposizione di vincoli”.

Oltre che nei romanzi di Camilleri, la Scala dei Turchi è stata decantata anche in altri libri e film, da Giuseppe Tornatore a Pif. In passato, gli amministratori locali si sono impegnati a proporre la sua candidatura nella lista Unesco dei beni dichiarati patrimonio dell’umanità, come annunciato dall’Assemblea regionale siciliana nel 2019. Ma finora le promesse dei politici sono rimaste lettera morta.

 

 

 

 

ENEL GREEN POWER APRE PARCO EOLICO A PARTANNA IN OTTO MESI DI LAVORI

0

A otto mesi dall’apertura del cantiere, nonostante le difficoltà causate dall’epidemia di coronavirus, Enel Green Power Italia ha messo in servizio il parco eolico di Partanna, in Sicilia. L’impianto si trova in località Contrada Magaggiari, nella provincia di Trapani, ed è costituito da sei aerogeneratori da 2,4 MW ciascuno, per una potenza totale pari a 14,4 MW. Il nuovo parco eolico produrrà circa 40 GWh ogni anno da fonte rinnovabile, evitando l’emissione in atmosfera di circa 18mila tonnellate di CO₂ all’anno.

“L’entrata in esercizio del parco eolico di Partanna – commenta Salvatore Bernabei, CEO di Enel Green Power e Direttore della Divisione Global Power Generation – rappresenta un ulteriore passo in avanti nella nostra strategia per sviluppare nuova capacità rinnovabile in Italia, contribuendo così agli sfidanti obiettivi di decarbonizzazione del Gruppo Enel e del Paese. Già oggi, sia a livello globale che in Italia, la produzione di energia da fonti rinnovabili di Enel è superiore a quella termoelettrica”.

enel-partanna-3

L’impianto di Partanna rientra nell’aggiudicazione delle gare Italia del GSE, che prevedono la realizzazione di nuova capacità e il potenziamento di impianti esistenti. Nonostante le difficoltà causate dall’epidemia di coronavirus, dopo appena otto mesi di lavori, il 14 aprile scorso Enel Green Power Italia ha connesso l’impianto eolico alla rete di alta tensione: un passo concreto verso la transizione energetica avviata dal gruppo Enel in Italia, nel quadro del processo di decarbonizzazione sancito a livello europeo con il green deal siglato nel 2019. Le foto che illustrano l’articolo documentano la compatibilità di queste pale eoliche e la “convivenza” con i terreni agricoli e le colture di ulivi e vigneti.

enel-partanna-1

 

Sia la gestione sia il monitoraggio dei lavori hanno beneficiato del processo di digitalizzazione che il gruppo Enel sta portando avanti in tutte le sue attività, permettendo per esempio visite virtuali del sito e l’utilizzo di un sistema per il monitoraggio digitale del materiale in cantiere, dotando i componenti principali del parco eolico di un tag con tecnologia RFiD (Radio Frequency iDentification), che permette di archiviare i dati su una piattaforma dedicata, monitorando così l’avanzamento delle consegne e semplificando i processi di comunicazione.

 

TRASFORMAZIONE DIGITALE: PROGETTO TIM SU 140 DISTRETTI

0

Per accelerare la trasformazione digitale in oltre 140 distretti industriali, TIM lancia il progetto “Smart Distric”’ con l’obiettivo di incrementare la digitalizzazione del tessuto economico e industriale del Paese. Oltre alle infrastrutture di rete – dalla fibra al 5G, dal Fixed Wireless Access (FWA) alla connettività satellitare – il Gruppo, in linea con il piano strategico 2021-2023 “Beyond Connectivity”, mette a disposizione delle aziende i migliori servizi di ultima generazione, indispensabili per promuoverne la competitività, avvalendosi delle competenze specializzate di Noovle per le soluzioni Cloud e di edge computing, Olivetti per l’Internet of Things, Telsy per la Cybersecurity e Sparkle per i servizi internazionali.

TIM punta così a far leva sulle proprie fabbriche di prodotto per coinvolgere direttamente l’intero ecosistema imprenditoriale dei distretti che, oltre alle aziende, comprende anche le Pubbliche amministrazioni e le Istituzioni locali. Saranno quindi disponibili:

1) le tecnologie Cloud all’avanguardia di Noovle, forte anche della partnership strategica siglata con Google Cloud, in grado di fornire tutta la capacità computazionale necessaria a digitalizzare e far evolvere i servizi;

2) i servizi IoT verticali di Olivetti;

3) l’ampia gamma di soluzioni di Cybersecurity offerte da Telsy per garantire la protezione dei dati e dei servizi presenti;

4) i servizi internazionali offerti da Sparkle per connettere le sedi delle aziende, i partner e i clienti all’estero.

Cuore pulsante dell’economia italiana, gli oltre 140 distretti industriali censiti dall’Istat coprono più di 2.100 comuni italiani e rappresentano il 25% del sistema produttivo nazionale e il 65% della produzione manifatturiera. TIM partirà da quelli  in cui si sviluppano le filiere più rappresentative del “made in Italy”, come il tessile di Carpi (Modena), Ascoli Piceno, Barletta e Minervino Murge; il calzaturiero del Fermano; l’industria meccanica di Schio (Vicenza), Borgomanero (Novara) e Rivarolo Canavese (Torino) con l’obiettivo di estendere l’iniziativa su tutte le aree industriali del Paese.

Le filiere produttive potranno avvantaggiarsi inoltre di soluzioni di automazione, di manutenzione da remoto in tempo reale, attraverso soluzioni di realtà aumentata ma anche di tecnologie per la sicurezza fisica con soluzioni di videosorveglianza, gestione della logistica e delle flotte, fino a soluzioni per il controllo di filiera tramite blockchain. Saranno abilitate anche soluzioni di smart working, di gestione intelligente dei dati e l’adozione di intelligenza artificiale nei processi aziendali. Con questa iniziativa, TIM si conferma partner tecnologico di riferimento per favorire lo sviluppo del sistema socio-economico nazionale, in una logica di sostenibilità e resilienza, coinvolgendo aziende, pubbliche amministrazioni, lavoratori e cittadini.

SCENDONO IN PISTA CON ENEL X LE MOTO ELETTRICHE

0

 

Enel X, in qualità di Official Smart Charging Partner della MotoE World Cup, ha lanciato il JuiceRoll Race Edition, la nuova infrastruttura di ricarica appositamente progettata e sviluppata per la MotoE. Verrà utilizzata a partire dalla prima gara della terza stagione della competizione, in programma a Jerez de la Frontera (Spagna) il 2 maggio 2021. Il JuiceRoll Race Edition è un caricatore altamente innovativo con storage interno e due unità interconnesse, vale a dire un’unità semi-mobile (SMU) e un’unità mobile (MU): questo dispositivo può caricare una moto elettrica in circa 40 minuti.

Dichiara Francesco Venturini, CEO di Enel X: “Siamo orgogliosi di lanciare un nuovo caricatore intelligente per la FIM Enel MotoE World Cup, sottolineando il nostro impegno nello sviluppo di tecnologie innovative per gli eMotorsports. Questo dispositivo all’avanguardia assorbe meno potenza dalla rete grazie al suo sistema di accumulo integrato e garantisce più energia per la gara attraverso un’unità mobile in grado di ricaricare le moto anche sulla griglia di partenza. Nel complesso, consideriamo gli eMotorsport un laboratorio di tecnologie di ricarica intelligente, con l’obiettivo di portare l’innovazione dalla pista alla strada. Sviluppiamo soluzioni per rendere gli sport motoristici più sostenibili, mantenendo lo stesso livello di prestazioni e competitività”.

enelx-motoracing-2

La SMU, situata nell’area di ricarica dell’ePaddock, è un’unità semi-mobile con un’uscita di 50 kW a corrente continua, un ingresso a corrente alternata dalla rete fino a 22 kW e un sistema di accumulo integrato da 51 kWh. Ulteriore energia viene garantita attraverso l’uso di 60 pannelli solari bifacciali 3Sun, montati nell’area di ricarica, per una capacità totale installata di 21 kWp (picco). Grazie a questo sistema, che comprende storage e fotovoltaico, in condizioni di normale funzionamento, la potenza assorbita dalla rete durante la carica è limitata a 4-5 kW. La MU è un caricatore DC mobile da 10 kW, alimentato dalla SMU e dotato di un sistema di stoccaggio integrato da 6 kWh che consente all’unità di ricaricare le moto mentre si trova in pit lane e sulla griglia di partenza. In particolare, la MU consente una carica finale di sette minuti sulla griglia di partenza, consentendo alle moto di coprire una distanza maggiore rispetto alle stagioni precedenti.

enel-x-motoracing-3

Durante la sessione di ricarica nell’ePaddock, il JuiceRoll Race Edition può fornire alle moto fino a 1 MW distribuito su 20 caricatori, richiedendo solo 100 kW dai pannelli solari e dalla rete in condizioni operative normali, grazie all’unità di storage integrata. Se necessario, le batterie consentono ai caricatori di funzionare senza connessione alla rete, essendo in grado di compensare eventuali cali di potenza o blackout della rete elettrica e comunque ricaricare in sicurezza le moto.

Il JuiceRoll Race Edition include, inoltre, le seguenti nuove funzioni:

  • la MU può alimentare le termocoperte elettriche per pneumatici nell’ePaddock, in pit lane e in griglia di partenza, nonché durante i trasferimenti tra queste aree, poiché mantenere le gomme calde è fondamentale per le prestazioni ottimali delle moto;
  • L’intero sistema è monitorato e controllato da remoto, gestendo i carichi di potenza al fine di ottimizzare la fornitura di energia elettrica dalla rete.

Il JuiceRoll Race Edition sostituisce il JuicePump 50 usata nella prima e nella seconda stagione della FIM Enel MotoE World Cup.

 

LA CERTOSA LIBERATA: E ORA QUALE FUTURO?

0

Il Consiglio di Stato ha sfrattato definitivamente l’associazione vicina a Steve Bannon dalla Certosa di Trisulti, a cui Amate Sponde aveva dedicato già diversi articoli fin dal 2015 per denunciarne il degrado. Con questa decisione, i giudici di Palazzo Spada ribaltano la sentenza del Tar di Latina che nel maggio scorso aveva assegnato l’ex convento di Collepardo, in provincia di Frosinone, alla Dignitatis Humanae Institute, l’associazione ultra cattolica che fa capo all’ex braccio destro di Donald Trump. 

“Il seguace di Bannon deve lasciare la splendida abbazia di Trisulti, che non diventerà a questo punto la Scuola dei sovranisti de noantri”, annuncia il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, che in questi anni ha sostenuto, con interrogazioni parlamentari e partecipando alle varie marce, la protesta delle comunità locali contro la decisione di affidare questo monumento nazionale all’associazione anglo-americana. E aggiunge: “Ora finalmente le comunità locali, le associazioni del territorio e lo Stato potranno valorizzare questo splendido tesoro del passato nell’interesse della collettività”.

Il primo ordine di sfratto era partito lo scorso ottobre dal Ministero dei Beni Culturali guidato da Dario Franceschini che aveva annullato l’assegnazione della gestione del monastero benedettino sulla base della mancanza di requisiti da parte della Dignitatis, diretta dall’inglese Benjamin Harnwell. La decisione è stata motivata dal fatto che l’atto di autotutela del Mibact è partito troppo tardi, oltre il limite dei 18 mesi dopo la concessione. Un vizio di forma che fatto vincere in primo grado la coppia Bannon-Harnwell. Ora, però, il Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione.

certosa-2

Due anni fa la Certosa di Trisulti fu affidata alla Dignitatis Humanae, roccaforte del pensiero sovranista americano di cui non si conoscono i finanziatori, presieduta all’epoca da Raymond Burke. Già al momento dell’assegnazione erano emerse le prime criticità, perché si era scoperto che la gara per la concessione era stata vinta grazie a un curriculum che poi si è rivelato quanto meno gonfiato, con alcune carte fondamentali falsificate. Nell’estate del 2019, il Mibact aveva inviato poi un’ispezione a sorpresa nel monastero, contestando tra l’altro la mancata manutenzione dell’abbazia. E poi, il 16 ottobre successivo, lo stesso ministero ha avviato la procedura per la revoca della concessione.

 LA STORIA

Costruito nel 1202 per volere di Papa Innocenzo III, nei pressi di una precedente abbazia benedettina, il monastero è passato nel corso dei secoli dai Certosini alla Congregazione dei Cistercensi. Monumento nazionale dal 1873, nonostante gli interventi di ristrutturazione e di restauro, questo straordinario complesso medioevale ha rischiato di essere scoperchiato e di rimanere a cielo aperto.

A prima vista, incastonata nella fitta vegetazione dei Monti Ernici a 825 metri di altitudine, la Certosa appare in tutta la sua imponenza mistica e solitaria. E in realtà, con una superficie complessiva di circa 15mila metri quadri coperti, appare più un borgo che un convento. Ma all’interno degli edifici si potevano vedere in diversi punti i tetti pericolanti, in parte caduti sotto il peso della neve, sostenuti a malapena da assi e cavalletti: negli anni Settanta, i vecchi coppi di terracotta furono sostituiti da tegole meno resistenti e il ghiaccio le ha spaccate fino a provocare numerose infiltrazioni.

Per lungo tempo, la custodia e la manutenzione dell’abbazia sono state affidate ai monaci ultrasettantenni che la abitavano: oltre a pregare e dire messa, lavoravano quotidianamente come guardiani, muratori e giardinieri. Da cinque che erano, per ragioni di età o di salute, s’erano ridotti a due. Ma poi finanziamenti statali si sono ridotti a poche migliaia di euro all’anno e per le spese ordinarie i sacerdoti hanno dovuto attingere alle loro magre pensioni. Fino a quando l’ultimo monaco è stato costretto ad abbandonarla.

certosa-4

All’epoca del suo fulgore, la Certosa ospitava una piccola comunità di più di cento persone, tra preti, novizi e artigiani. Tant’è che, oltre alla chiesa barocca dedicata a San Bartolomeo (con gli affreschi danneggiati dall’umidità) e alla Foresteria in stile romanico-gotico, entro le antiche mura del complesso si trovano anche una Biblioteca con 36mila volumi e una splendida Farmacia del XVIII secolo, decorata con “trompe-l’oeil” realistici d’ispirazione pompeiana e arredata con mobili del Settecento: negli scaffali sono esposti ancora i vasi in cui venivano conservate le erbe medicinali e i veleni estratti dai serpenti per preparare gli antidoti (foto sopra). La volta a crociera della sala principale è stata affrescata da Giacomo Manco, mentre il delizioso salottino d’attesa è impreziosito dai dipinti dell’artista napoletano Filippo Balbi.

Ha scritto a suo tempo su Repubblica il giornalista Giovanni Valentini, denunciando il degrado del complesso: “Borgo, convento, seminario, scuola pubblica, méta di pellegrinaggio o di turismo alternativo, nella sua lunga storia la Certosa di Trisulti è sempre stata un centro di vita e di attività. La sua originaria vocazione culturale meriterebbe di essere ripristinata e coltivata, magari attraverso un programma di incontri, convegni, eventi, manifestazioni in grado di richiamare un pubblico interessato ai temi della spiritualità, dell’arte, della salute, dell’omeopatia o dell’erboristeria. E le sue strutture ricettive, dalla Foresteria alle vecchie celle dei seminaristi, andrebbero opportunamente riadattate per accogliere ospiti da tutto il mondo in cerca di silenzio, serenità e raccoglimento; oppure, gli appassionati di trekking, a piedi o a cavallo, e di mountain bike”.

certosa-3

Occorrerebbe, dunque, un progetto organico di conservazione e valorizzazione, per rivitalizzare questo splendido eremo, ad appena cento chilometri a sud di Roma, per farne un centro di studi e convegni dedicandone magari una parte a un relais per gli ospiti in visita o di passaggio. Altrimenti, la Certosa di Trisulti sarà condannata all’abbandono e all’oblio. E così un altro pezzo della nostra storia e della nostra memoria collettiva verrebbe cancellato per sempre.

 

DECALOGO VERDE

0

Mancano ormai 30 giorni alla scadenza fissata da Bruxelles per l’invio a fine aprile del Piano nazionale di ripresa e resilienza ed ecco il “decalogo verde” che Legambiente sottopone al governo Draghi, in un talk dagli studi SKY di Milano. Sono dieci le “opere faro” indicate dall’associazione ambientalista per rendere concreta la transizione ecologica, insieme a un pacchetto di proposte e riforme per fare della Penisola un modello da cui prendere esempio.

Dalla riconversione green del distretto industriale di Taranto e Brindisi, in Puglia, a una mobilità a emissioni zero nei capoluoghi di provincia della Pianura Padana e del Centro-Sud; dalla bonifica dei territori e delle falde inquinate: a partire dalla Terra dei Fuochi in Campania, la Valle Del Sacco nel Lazio, le aree petrolifere di Basilicata e Sicilia e il caso dei PFAS (acronimo di “sostanze perfluoroalchiliche”, composti chimici utilizzati in diverse produzioni industriali) in Veneto e Piemonte, alla realizzazione di parchi eolici offshore in Sardegna, nel Canale Sicilia e in Adriatico; dalla delocalizzazione delle strutture dalle aree a elevato rischio idrogeologico, come nelle province di Crotone e Vibo Valentia in Calabria, di Messina in Sicilia e in Campania alla realizzazione di digestori anaerobici per il trattamento della frazione organica differenziata, nelle aree metropolitane del Centro-Sud: Roma, Napoli, Reggio Calabria, Bari, Catania, Palermo, Messina e Cagliari. A partire da queste città, ogni provincia deve diventare autosufficiente negli impianti di riciclo: oltre a evitare costi, danni ambientali e rischi di smaltimento illegale del “turismo dei rifiuti”, tutto ciò permetterebbe la fertilizzazione del suolo e la decarbonizzazione dei trasporti.

Tra le dieci “opere faro”, anche la ricostruzione e digitalizzazione con la banda ultra larga delle aree del cratere del terremoto del Centro Italia, la realizzazione di infrastrutture ferroviarie per la Calabria e la Sicilia che, al posto del Ponte sullo Stretto, necessitano di una rete di trasporto regionale per superare isolamento e disservizi e aumentare e diversificare i flussi turistici. E infine, la connessione ecologica, digitale e cicloturistica dell’Appennino lo sviluppo del biologico e dell’agroecologia sulle montagne alpine e appenniniche e nelle aree rurali attraverso la creazione di biodistretti.

Commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente: “Dal nuovo Esecutivo guidato da Mario Draghi ci aspettiamo scelte coraggiose e radicali sui progetti da finanziare, puntando solo sulle tecnologie pulite per la produzione di energia rinnovabile, sull’idrogeno verde, sugli impianti di economia circolare, sulla mobilità a emissioni zero in città e sulle tratte extra urbane, sulla rigenerazione urbana, sull’agroecologia, sul turismo sostenibile e sulle aree protette. Solo così si potrà concretizzare la transizione ecologica di cui si parla da anni e proiettare davvero l’Italia al 2030 rendendola più verde, pulita e inclusiva, dando delle risposte concrete ai cittadini e ai giovani che continuano a scioperare per il clima. L’Europa ha le idee chiare sulla decarbonizzazione dell’economia continentale. In Italia finora non è andata così. È questo il momento giusto per dimostrare quella volontà politica che è mancata finora, evitando allo stesso tempo gli errori del passato. L’Italia non perda questa importante occasione”.

Ecco, più in dettaglio, le dieci “opere faro” proposte da Legambiente:

  1. Distretto industriale green di Taranto e Brindisi

Legambiente chiede di “garantire un futuro pulito alla siderurgia, alla produzione energetica e all’occupazione” entro il 2030. Vanno accelerate le bonifiche dei territori inquinati e la riqualificazione dei tessuti urbani. Per Taranto, la città avvelenata dalle emissioni nocive dell’ex Ilva, il “decalogo verde” prevede la necessità di “ridimensionare la capacità produttiva del ciclo integrale a carbone grazie alla costruzione di forni elettrici e alla realizzazione, da prevedere subito, di un impianto che utilizzi l’idrogeno verde per produrre acciaio, sulla falsariga del progetto svedese Hybrit”.

  1. Mobilità a emissioni zero in Pianura Padana e nei capoluoghi di provincia

Oltre a chiedere di dirottare gli eco-incentivi sui mezzi pubblici, il piano di Legambiente punta a vaste “zone a basse emissioni”, con divieto di uso del gasolio per auto e riscaldamento (2025), limitazioni alla combustione a biomasse, 100 eco-quartieri a zero emissioni, mobilità dolce. Questi investimenti vanno accompagnati da una riforma che ridefinisca le responsabilità e i poteri tra Stato, Regioni e Comuni.

  1. Bonifica della Terra dei fuochi, Valle del Sacco, Val d’Agri, Gela

Sono tutti esempi di territori “inquinati da decenni”: senza risolvere prima questi problemi, la transizione ecologica rischia di rimanere una facciata. Le bonifiche sono l’unica soluzione praticabile ed efficace.

  1. Parchi eolici off-shore nel canale di Sicilia, in Sardegna e in Adriatico

Le infrastrutture mirano ad alzare l’obiettivo italiano per la produzione elettrica da eolico off shore, che è di 900 MW al 2030. In coincidenza con questi interventi, occorre anche convertire l’attività dei porti dedicati finora agli idrocarburi (Ravenna, Augusta, Taranto).

  1. Riduzione del rischio idrogeologico in Campania, Calabria e Sicilia

I primi cantieri da finanziare, secondo Legambiente, riguardano l’abbattimento degli edifici abusivi e le delocalizzazioni degli edifici e delle strutture presenti in aree a elevato rischio idrogeologico, come in Calabria nelle province di Crotone e Vibo Valentia, in Campania e in Sicilia, a partire dalla provincia di Messina.

  1. Impianti di economia circolare nel Centro-Sud

In questo capitolo, rientrano gli impianti di gestione dei rifiuti per le metropoli del Centro e del Mezzogiorno.

  1. Connessione ecologica, digitale e cicloturistica dell’Appennino

Legambiente propone “l’istituzione del Parco nazionale del Matese tra Molise e Campania; la creazione di corridoi ecologici per la tutela dell’Orso bruno marsicano in Abruzzo, Lazio e Molise; la realizzazione di infrastrutture verdi attraverso il ripristino degli ecosistemi forestali degradati e la tutela della biodiversità con produzioni biologiche agricole e zootecniche nelle aree protette”. In questa prospettiva, per sostenere il turismo s’inseriscono le ciclovie, la rete di cammini e l’infrastruttura digitale.

  1. Ricostruzione innovativa delle aree terremotate del Centro Italia

Il “decalogo verde” contempla la chiusura entro il 2030 di tutte le ricostruzioni legate ai terremoti del 2016-2017. Più che le risorse economiche, finora sono mancati o sono stati insufficienti il coordinamento e la programmazione. “La diffusione dell’infrastruttura digitale deve andare di pari passo con la ricostruzione privata e pubblica, perché è un servizio essenziale al pari delle reti idriche, energetiche, stradali”.

  1. Infrastrutture ferroviarie per Calabria e Sicilia

Piuttosto che il Ponte sullo Stretto, Calabria e Sicilia – secondo Legambiente – necessitano prioritariamente di una rete di trasporto regionale per superare l’isolamento e i disservizi che gli abitanti vivono nelle rispettive regioni oltre che aumentare e diversificare i flussi turistici”. Oltre all’elettrificazione della tratta che collega Taranto a Reggio Calabria e al potenziamento del servizio con treni moderni, urge il collegamento ferroviario tra l’aeroporto di Lamezia Terme, il centro cittadino e Catanzaro Lido, considerato che è il principale scalo regionale con voli nazionali e internazionali. Anche la Sicilia ha bisogno “di una robusta cura del ferro”.

  1. Sviluppo del biologico e dell’agroecologia sulle Alpi, negli Appennini e nelle aree rurali attraverso la creazione di biodistretti

Il boom di consumi e produttori biologici spinge a incentivare la “diffusione ancora più capillare del settore biologico nell’intera penisola, per aumentare l’occupazione, la salubrità del cibo e rendere più competitivo il Made in Italy di qualità”. Per farlo, Legambiente chiede di “approvare la legge sull’agricoltura biologica, arrivata all’ultima fase dell’iter parlamentare”. Investire su uno sviluppo capillare del biologico avrebbe ulteriori ricadute positive nel segno del New Green Deal: arginare l’abbandono dei campi e lo spopolamento, contrare il dissesto idrogeologico, garantire attraverso l’attività agricola un presidio territoriale e un collante sociale.

 

 

 

 

 

 

FONDAZIONE R&I: CINQUE PROPOSTE PER LO SVILUPPO DEL SUD

0

Cinque idee per un nuovo sviluppo nel Mezzogiorno. E quindi, per la riduzione del divario e la riunificazione delle “due Italie”. In occasione dell’iniziativa “SUD – Progetti per ripartire”, promossa nelle giornate del 23 e 24 marzo dalla ministra Mara Carfagna per ascoltare istituzioni, esperti e le proposte di singoli cittadini in preparazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la Fondazione R&I (Ricerca e Imprenditorialità) presenta un suo contributo affinché il piano Next Generation Europe possa costituire l’opportunità per valorizzare il ruolo e le specificità dell’economia meridionale. Ecco in dettaglio le proposte, punto per punto.

1) Il Mezzogiorno come potenziale di crescita per il Paese: un’opportunità storica, in un contesto in cui la sostenibilità del crescente debito pubblico richiede una crescita del Pil maggiore di quella del passato

Lo sviluppo del Mezzogiorno deve rappresentare un ruolo trainante per l’intera economia nazionale, con una strategia più ambiziosa di crescita industriale, riportando attenzione al divario esistente con il resto del Paese e cambiandone al contempo prospettiva affinché ciò diventi un’opportunità di crescita attraverso:

– la nuova rivoluzione industriale 4.0 per l’attivazione di Poli di innovazione e di imprenditorialità;

– la nuova centralità geopolitica del Mezzogiorno nel Mediterraneo;

– i grandi cambiamenti indotti dalla grave crisi pandemica.

2) Rileggere il Mezzogiorno: high-tech come leva primaria per la crescita, già presente sul territorio con alcune grandi imprese

Esiste certamente ancora un gap di innovazione al Sud nei confronti del resto d’Italia, con investimenti in R&S più ridotti che sacrificano la produttività e le opportunità di impiego qualificate, accanto al ritardo per quanto riguarda la capacità di brevettazione. Non mancano però segnali importanti di vitalità. Sei poli tecnologici di rilevanza nazionale sono collocati al Sud, che inoltre sta esprimendo una promettente vitalità in fatto di tasso di natalità di startup, comparabile al resto dell’Italia (nella foto, un esterno del Polo tecnologico universitario di San Giovanni a Teduccio – Napoli).

3) La disponibilità di risorse umane qualificate per uno sviluppo high-tech può diventare una risorsa strategica se si arresta la fuga dei cervelli, potenziando l’attrattività del territorio

Il vero obiettivo sarà quello di trattenere le risorse umane di qualità. 132mila laureati sono partiti dal Mezzogiorno nel periodo 2012-2018 verso l’estero ed altre regioni italiane. Nel solo 2018 sono partiti oltre 20mila giovani, in aumento rispetto agli anni precedenti. La questione della “fuga” dei talenti e – strettamente complementare a essa – quella della attrattività del Sud per i giovani di altre parti d’Italia e del mondo è affrontabile solo con un nuovo ciclo di sviluppo.

4) La nuova imprenditorialità tecnologica è una risorsa anch’essa già presente, da rafforzare con l’interazione con le grandi imprese locali e il trasferimento tecnologico

Al Sud piccole imprese high-tech nascono numerose, ma non sopravvivono. La sfida deve essere quella di favorire l’alleanza tra grandi-medie imprese e startup tecnologiche, che costituisce una peculiare caratteristica del capitalismo contemporaneo.

5) Soggetti pubblici fondamentali per uno sviluppo high-tech, in particolare l’Università

Un ruolo determinante oggi deve essere svolto dall’università, sia attraverso la formazione delle risorse umane che attraverso la ricerca, il trasferimento tecnologico e la promozione della imprenditorialità. La sfida sta nel realizzare la convergenza tra ricerca di base (la cui importanza dev’essere riaffermata), ricerca mission-oriented e creazione di spin-off della ricerca. Il nuovo dinamismo delle università del Sud e la qualità dei risultati raggiunti costituiscono un segnale di grande rilevanza. Questo è bene evidenziato dalle iniziative già svolte e quelle in corso, condotte dalla Fondazione R&I – dove sono presenti tra gli altri come soci fondatori Intesa Sanpaolo e Leonardo – in collaborazione sinergica con le otto principali Università delle Regioni Campania e Puglia.

LA CASA, DOLCE CASA DIVENTERA’ SEMPRE PIU’ INTELLIGENTE

0

Con la pandemia e i ripetuti lockdown, la Smart Home ovvero la “casa intelligente”, interconnessa e dotata di dispositivi in grado di funzionare ed essere comandati anche da remoto, torna al centro dell’attenzione degli italiani. Il mercato nazionale vale al momento 566 milioni di euro, ma si prevede che raggiungerà un miliardo nel 2023, a fronte di un mercato mondiale che vale 68 miliardi e arriverà a 110 miliardi entro due anni.

Sono dati e tendenze che emergono dal Rapporto “Internet of things nelle case italiane”, elaborato dal Centro Studi TIM. Sebbene il mercato nazionale abbia registrato una lieve frenata nel 2019 a causa dell’epidemia (-6%), la crescita media annua prevista è del 26% e nel 2023 il giro d’affari dovrebbe superare il miliardo di euro, grazie all’attenzione degli italiani alle proprie abitazioni derivante in parte anche dall’effetto comportamentale post-Covid.

A fare da traino sono gli smart speaker, altoparlanti dotati di assistenti vocali, che hanno registrato una vertiginosa crescita negli ultimi due anni (+59% nel 2019, +11% nel 2020). Tra gli altri dispositivi interconnessi per l’automazione della casa, collegati al web e gestibili da remoto, ci sono gli elettrodomestici smart piccoli e grandi e i dispositivi di controllo e connettività locale, quali gateway e hub, prese smart e comandi. Spazio anche a telecamere, sensori ed altri sistemi di sicurezza e protezione fino a home entertainment, illuminazione smart e sensori per migliorare il comfort domestico, sistemi e prodotti per il controllo dei consumi energetici domestici (nel grafico qui sotto, uno schema di installazioni domestiche).

smart-home-2 

Per il 90% degli italiani intervistati dalla Doxa dopo il lockdown, la casa è in cima alla lista delle priorità. Ma quasi la metà degli italiani (48%) si dice non pienamente o solo parzialmente soddisfatto della propria abitazione, con una differenza legata all’età e al reddito oltre che alla tipologia di casa e al titolo di godimento dell’immobile. Il 23% degli italiani ritiene che la casa ideale è quella tecnologica, con un collegamento Internet veloce e stabile, è connessa con il Wi-Fi e controllabile dall’esterno attraverso lo smartphone, con sistemi di sicurezza avanzati e rilevatori di perdite e guasti.

Una “maison à la carte”

Le nuove esigenze legate alla pandemia hanno portato molte famiglie italiane a riconvertire le proprie abitazioni in uffici, aule per la didattica e perfino in palestre dove poter svolgere attività fisica: una “maison à la carte”, flessibile e mutevole in base alle attività, agli orari e agli interessi dei diversi componenti della famiglia. Grazie agli incentivi statali per l’efficienza energetica e alla diffusione delle connessioni broadband e ultrabroadband nel Paese, aumenta la consapevolezza dei consumatori sugli oggetti smart nelle case. La permanenza prolungata nella propria abitazione durante il lockdown, spesso connessa al fenomeno dello smart working, ha stimolato il ripensamento degli spazi domestici in ottica smart: il 46% delle persone che hanno risposto al sondaggio vorrebbe apportare modifiche alla propria casa; il 16% lo farebbe per migliorarne le dotazioni tecnologiche; mentre l’11% per aumentarne l’efficienza energetica.

Il fenomeno ha riguardato anche le aree meno abitate del Paese. Stanno emergendo, infatti, nuovi modelli di sviluppo territoriale grazie alla diffusione della banda larga e dello smart working. In alcuni borghi, le amministrazioni comunali hanno stanziato agevolazioni economiche dedicate agli smart worker mirate ad attrarre nuclei familiari interessati a trasferirsi in queste località per svolgere la propria attività professionale a distanza (smart working villages). Altre iniziative avviate in Comuni a rischio spopolamento hanno offerto in affitto o in vendita abitazioni in disuso a prezzi simbolici. Tra le iniziative più interessanti si possono citare quelle avviate dai Comuni di Irsina (nella foto sotto), in provincia di Matera; Palazzolo Acreide (Siracusa) e Otranto (Lecce).

irsina-mt

La Smart Home riduce le emissioni CO₂ fino a 2,5 milioni di tonnellate l’anno

Le “case intelligenti” possono contribuire a ridurre in maniera significativa il consumo energetico delle famiglie italiane e quindi le emissioni di CO₂. In particolare, i sistemi di energy monitoring della Smart Home possono generare un risparmio fra i 3 e i 3,5 miliardi di euro annui se usati in maniera massiva. Una riduzione del 10-15% dei consumi elettrici nazionali domestici legata ai dispositivi di energy management può portare inoltre ad una riduzione complessiva di CO₂ di circa 1,7- 2,5 milioni di tonnellate l’anno.

Benessere, efficienza e sicurezza le principali motivazioni di acquisto degli oggetti smart

Secondo una ricerca effettuata per Energy@Home, la Smart Home raccoglie l’interesse dell’85% della popolazione. I principali driver di acquisto sono la ricerca del benessere, dell’efficienza e della sicurezza, con diverso grado di coinvolgimento in base alla fascia di reddito, alla zona di residenza, al livello di istruzione e all’età. La presenza in casa di almeno un oggetto smart cresce all’aumentare dei componenti della famiglia, dal 28% del single fino al 56% di un nucleo di almeno 5 persone, mentre la propensione al primo acquisto sembra variare intorno al 40% in modo meno sensibile, con un picco del 48% per nuclei familiari di 3 persone.

In altri termini, le famiglie con figli, più giovani e mediamente più istruite hanno già almeno oggetto smart home. Con l’aumentare della numerosità del nucleo familiare aumenta la propensione ad avere oggetti smart. Al contrario i non interessati sono più numerosi tra i single.

Più oggetti intelligenti tra chi ha una connessione broadband/ultrabroadband

La presenza di connettività broadband e ultrabroadband nell’abitazione si lega a una maggiore propensione all’acquisto di un oggetto smart. Chi ha una connessione dati stabile e veloce possiede un oggetto smart nel 66% dei casi e intende acquistarlo nel 68% dei casi. Come primo acquisto, i kit sono spesso considerati la soluzione più semplice dagli italiani, specialmente da chi non ha ancora dimestichezza con gli oggetti smart, mentre l’acquisto del singolo prodotto è preferito da chi già possiede oggetti smart per una maggiore libertà di scelta delle caratteristiche dell’oggetto (88%) e la ricerca di un risparmio economico (83%).

La Smart Home accresce il valore del mercato immobiliare

Le nuove tecnologie hanno un notevole impatto sul mercato immobiliare, dove la “casa intelligente” viene percepita come fattore differenziante e attrattivo, capace di ridurre notevolmente i tempi di compravendita dell’immobile. Negli ultimi anni in Italia si è assistito a un generale decremento del prezzo delle abitazioni, che supera il 25% su base nazionale rispetto al 2012 per le abitazioni preesistenti. Prendendo a riferimento i mercati americano e britannico, più avanti dell’Italia nelle dinamiche di impatto dell’ultrabroadband sul patrimonio immobiliare, in media per l’acquisto di una casa con fibra ottica si paga un prezzo più alto fino al 3,8%, che arriva fino al 15% in caso di affitto. Per contro, le case senza connessione o con velocità di download ridotte, possono valere il 20% -24% in meno. Internet è ora la quarta utility dopo gas, elettricità e acqua.

Le dotazioni tecnologiche sono date per scontate per le case nuove e di lusso, mentre per le altre ogni soluzione smart installata porta un valore aggiuntivo dal 1% al 5%. Le case con sensori umidità e monitoraggio acqua, infine, subiscono oltre il 90% di danni in meno e quelle con servizi di videosorveglianza a larga banda subiscono meno furti.

La Smart Home fattore trainante del mercato assicurativo

In relazione al mercato assicurativo italiano, 7 società già offrono servizi bundle di assicurazioni e domotica. La Smart Home è ancora prevalentemente uno strumento di marketing associato alle offerte sugli immobili come elemento di differenziazione, che sarà valorizzata dall’adozione della sensoristica. Qualche esempio in questo senso viene dagli USA, dove le case con sensori di umidità e monitoraggio d’acqua subiscono il 90% di danni in meno. I consumatori americani vedono positivamente una polizza assicurativa collegata alla Smart Home: più della metà (54%) dei proprietari di casa e il 40% degli inquilini dichiarano che acquisterebbero una polizza assicurativa collegata alla Smart Home e pagherebbero il servizio a fronte di alcuni incentivi.

Cybersecurity, privacy e interoperabilità le prossime sfide del mercato

Lo sviluppo del mercato italiano della Smart Home sarà accompagnato dall’implementazione di strumenti e servizi che garantiranno alti standard di sicurezza: un italiano su due (55%) preferisce non condividere i propri dati personali anche a casa, analogamente a quanto vale per inglesi (52%), francesi (53%) e tedeschi (47%). Anche per questo motivo si arricchisce il livello di sicurezza delle nuove tecnologie di connessione wireless tramite le quali i dispositivi della smart home si scambiano le informazioni (per esempio, standard WiFi 6), si sperimentano nuove soluzioni assicurative e si rafforza il livello di sensibilizzazione dei cittadini attraverso campagne informative mirate delle istituzioni europee e nazionali.

Direttamente collegato per gli italiani è il tema privacy, in particolare rispetto agli Smart Speaker che ascoltano e apprendono dall’interazione con le persone e che abitualmente vengono collocati in salotto, cucina e perfino in camera da letto. Contestualmente è necessario affrontare temi legati all’integrazione di dispositivi e soluzioni proprietarie attraverso una maggiore interoperabilità dei sistemi e dei prodotti di domotica delle diverse aziende produttrici.

Un primo passo importante in questa direzione, probabilmente incoraggiato dagli ultimi interventi regolamentari in corso di approvazione (come quello sul Digital Market Europeo) volti a promuovere l’interoperabilità e ad aumentare la concorrenza, è rappresentato dall’accordo raggiunto a fine 2019 dai tre colossi Amazon, Apple e Google in collaborazione con la Zigbee Alliance (Progetto CHIP Connected Home over IP), che annovera tra i suoi membri non solo imprese digitali ed elettroniche, ma anche di settori dell’arredamento (come per esempio IKEA) e dell’illuminazione, comparti storici del Made in Italy. Per non perdere competitività nel mercato, anche le imprese italiane di settori storici dovranno riuscire a fondere design e qualità con l’innovazione digitale e proporre soluzioni per il segmento delle smart home.