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UNA NUOVA POLITICA PER IL MEDITERRANEO

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Con un discorso inaugurale del presidente della Fondazione Terzo Pilastro, Emmanuele Emanuele, s’è aperta a Valencia (Spagna) la Conferenza internazionale sulle donne nel Mediterraneo. Un summit, tutto al femminile, per avviare una “nuova stagione” nei Paesi che si affacciano sul bacino del Mare Nostrum, quello stesso mare che bagna anche le nostre “amate sponde” circondando l’intera Penisola. Nel solco della “primavera araba”, il ruolo delle donne nell’evoluzione della società viene analizzato qui sotto il profilo politico, economico e culturale: “Sono state proprio loro – ha sottolineato nel suo intervento il professor Emanuele – le vere protagoniste di quel grande sommovimento a livello intellettuale e sociale che mirava all’instaurazione della democrazia nei paesi del Maghreb”.

A giudizio del presidente della Fondazione Terzo Pilastro, “questa speranza in molti casi è stata tradita e oggi vediamo come molte delle protagoniste non sono qui tra noi perché colpite dalla furia cieca e assurda dell’integralismo, che ne ha fatto delle vittime o delle martiri”. Ma, pur nella consapevolezza che “quel processo sognato e ipotizzato va purtroppo spegnendosi di fronte a una reazione basata su convincimenti anche religiosi che ne stanno minando le fondamenta”, il professor Emanuele resta tuttavia convinto che “il valore di quella visione dell’universo femminile sia pur sempre ispiratrice del cambiamento nella nuova dimensione della società come crescita sociale, affettiva e spirituale”.

Da qui, appunto, l’impegno della Fondazione Terzo Pilastro che ha già contribuito in passato a restaurare la Cattedrale di Sant’Agostino di Ippona ad Annaba, ad Algeri; ha creato le premesse di una stabilizzazione del Festival di El Jem a Tunisi; ha dato vita, sempre in Tunisia, a Nabeul, a un intervento sistemico per i giovani che possono lavorare all’ammodernamento di una rete idrica per le popolazioni agrarie; ha istituito una propria sede a Rabat, in Marocco; ha inaugurato dei corsi ad Aqaba-Eilat in cui palestinesi ed israeliani studiano insieme; ha partecipato, sempre a Valencia, alla X edizione della “Multaqa de las Tres Culturas” presso il Centro UNESCO Valldigna (dove al presidente Emanuele è stato conferito un premio per l’impegno personale profuso negli ultimi dieci anni a favore dell’area del Mediterraneo); e infine ha sottoscritto un accordo di collaborazione con il Comune di Cordoba, per intraprendere un percorso di cooperazione nel campo della cultura e delle iniziative finalizzate a favorire la conferma della identità tra i popoli del Mare Nostrum.

“È necessario ripensare il Mediterraneo in termini realistici – ha osservato poi il presidente della Fondazione Terzo Pilastro – concependolo secondo le categorie geopolitiche precedenti alla crisi e alla stessa globalizzazione: bisogna spostare l’asse della centralità mondiale dall’Atlantico e dall’Europa Continentale verso l’area euroasiatica, che comprende, oltre ai Paesi arabi del Golfo Persico, anche l’India e la Cina (non da ultimo, per contrastare il blocco dei Paesi islamici integralisti)”. Il discorso s’è concluso perciò con l’auspicio che alla fine la Conferenza di Valencia produca “un documento, per tutti e tre gli ambiti trattati, che possa essere inviato alle autorità mondiali perché lo tengano in debito conto nella definizione di una nuova politica per l’area mediterranea”.

(I lavori del summit si possono seguire su Facebook e Twitter tramite il profilo WoMed15. Nel documento allegato, il programma completo di queste due giornate).

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LA SPAZZATURA “IN VETRINA”

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L’emergenza rifiuti a Roma non riguarda soltanto i cassonetti ricolmi che non vengono svuotati regolarmente. Il problema, come si dice, è a monte: nel senso che comincia dai raccoglitori disseminati per la città.

Come si può vedere in queste foto, scattate nella centralissima piazza del Pantheon affollata di turisti, i cestelli sono dotati ormai di buste di plastica trasparente che mettono in bella mostra bottiglie, lattine, cartocci e quant’altro. Uno spettacolo indegno di una Capitale.

La spazzatura viene esposta in pratica agli occhi dei cittadini e degli ospiti, italiani e stranieri, quasi fosse in vetrina. Qua e là sopravvivono ancora i contenitori in metallo, con tanto di simbolo del Comune e scritta SPQR. Ma mi domando e dico: non si potrebbero sostituire le buste trasparenti con quelle colorate, in modo da non far vedere che cosa contengono?

Sarebbe, a mio avviso, una buona cosa per il decoro urbano. E forse anche un contributo al turismo, per non lasciare queste immagini (di disordine e sporcizia) negli occhi dei visitatori.

Libero Valente, Roma

IL GIGANTE DI BOLOGNA VITTIMA DELL’INCURIA

Oltre a essere il simbolo più rappresentativo della città di Bologna, a due passi da Piazza Maggiore, la Fontana  del Nettuno può essere considerata anche il simbolo di un male cronico che insidia lo stato di salute di molti Beni artistici e culturali italiani: cioè la mancanza di manutenzione, di ordinaria manutenzione. A 25 anni dall’ultimo restauro, eseguito alla fine degli anni Ottanta, il monumento voluto dal cardinale Carlo Borromeo e realizzato nel Cinquecento dal Giambologna è stata danneggiato nel tempo dall’incuria e dall’abbandono. E perciò la storica fontana – rimasta “muta”, senz’acqua – ha bisogno ora di un nuovo intervento, per ripulire i bronzi e i marmi, rifare le stuccature, revisionare l’impianto idrico, insieme agli ugelli, all’illuminazione e all’impianto di depurazione .

Ma il Comune, sebbene nel suo piano di investimenti figuri già una voce di 700mila euro, non dispone al momento di questi fondi. Ecco, allora, una mobilitazione popolare promossa dal Resto del Carlino, il quotidiano di Bologna, per raccogliere le risorse necessarie. Enti, aziende, commercianti, semplici cittadini, stanno partecipando a questo impegno comune per salvaguardare l’immagine e la memoria della città. Alla campagna, ha aderito anche il FAI (Fondo Ambiente Italiano), con la sua presidente regionale Marina Senin Forni.

Chiamato più familiarmente “Il Gigante” dai bolognesi, il Nettuno è una statua che impugna il tridente (diventato poi il marchio della Maserati) e sovrasta una vasca con la fontana che vanta 90 zampilli. Quando il monumento fu completato nel 1565, il nudo del dio marino suscitò grande scandalo nella popolazione femminile, provocando perfino la richiesta di coprirlo con un paio di “pantaloni” in bronzo. Ma fortunatamente l’idea non ebbe seguito. La leggenda vuole poi che lo studente in cerca di buona sorte, alla vigilia degli esami, compia due giri in senso anti-orario intorno al monumento.

Chi intendesse partecipare alla raccolta fondi per restaurare la fontana, può versare il suo contributo sul conto corrente bancario intestato a: “Poligrafici editoriale conto sottoscrizione Salviamo il Gigante”, presso la Carisbo – filiale di Bologna, via Rizzoli 5, codice Iban IT13 N063 8502 4521 0000 0002 748, Bic IBSPIT2B. I nomi dei donatori compaiono in un elenco pubblicato sul sito Internet del Resto del Carlino (www.ilrestodelcarlino.it/speciali/nettuno-fontana-restauro

ANTICHE BOTTEGHE nel cuore di roma

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Passeggiare per i vicoli del centro storico di Roma – già così ricco di palazzi, chiese e monumenti – può trasformarsi in un’autentica scoperta, soprattutto per chi ha un occhio più attento. Fra tanti esercizi commerciali e negozi di inutili chincaglierie, il visitatore curioso scoverà luoghi particolari dove il tempo sembra essersi fermato. Botteghe in cui mani abili e menti sensibili trasmettono antichi saperi invitando il passante a compiere un percorso insolito prodigo di suggestioni.

 Una cappelleria con centinaia di forme in legno per creare copricapi dalle fogge più singolari; una sala da barbiere con arredi di inizio Novecento; un’antica e silenziosa libreria dove si respira piuttosto aria di biblioteca; un liutaio circondato da violini e strumenti a corda; un’oreficeria di tradizione; un laboratorio dove si riparano bambole, con ceste colme di occhi, gambe e visi in ceramica; o un altro dove si lavora il giunco per impagliare sedie.

 Da questa suggestiva realtà, è nato nell’aprile 2014 il progetto foto-videografico “Percorsi Insoliti”, dall’idea di due giovani e appassionati romani: il fotografo Davide Giannetti e il video-maker Pierluigi Braca. Il lavoro si è svolto all’interno di alcune botteghe del centro storico di Roma, con la finalità di riscoprire – e quindi valorizzare – la tradizione della cultura artigiana, attraverso le moderne forme di comunicazione multimediale. Agli artigiani coinvolti, è stato chiesto di mostrarsi immersi nel proprio ambiente di lavoro per dare vita a una visione creativa che potesse stimolare nello spettatore la curiosità e la voglia di conoscere realtà che rischiano spesso di essere dimenticate. Oltre alla realizzazione del reportage fotografico, di cui pubblichiamo qui un’ampia galleria,  sono state prodotte “pillole documentarie”, attualmente in fase di lavorazione, nelle quali i protagonisti si raccontano attraverso il proprio mestiere.

 Nonostante la crisi economica degli ultimi anni che ha messo in ginocchio tante attività commerciali e nonostante la serializzazione della produzione industriale, in questi “luoghi della memoria” si continuano a produrre oggetti tanto belli esteticamente quanto fondamentali per tramandare l’identità culturale e artistica del Paese. Un’attività che affonda le sue radici nella Roma imperiale e che, attraversando i secoli, è giunta fino ai giorni nostri portando con sé un bagaglio di arte, tradizione e creatività. Ed è proprio per salvaguardare questo patrimonio che la Fondazione Terzo Pilastro, presieduta dal professor Emmanuele Emanuele, ha voluto sostenere il progetto dell’Associazione culturale “Iter”, presentato a novembre scorso nella suggestiva cornice della Biblioteca Angelica in piazza Sant’Agostino, “per il recupero delle tradizioni artigiane e delle botteghe storiche”.

 Basterà varcare la soglia di queste botteghe per essere accolti dalla gentilezza e dell’ospitalità dei “padroni di casa” che, oltre a mostrare le proprie creazioni e gli attrezzi del mestiere, narreranno storie di una Roma poco conosciuta e meno patinata. Ognuno di loro ricorderà volentieri un aneddoto di vita vissuta, personale o familiare.

 Il libraio, visibilmente emozionato, racconterà di quando il cardinale Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, usava frequentare il suo negozio in cerca di qualche libro raro. Il barbiere mostrerà gli antichi rasoi usati dal padre, ereditati poi insieme al salone, luogo d’incontro e di socializzazione anche al di là delle differenze sociali. E il visitatore potrà magari sorridere di fronte alla scelta di due nonne, desiderose di far riparare le loro vecchie bambole per regalarle alle nipotine.

 Si ascolteranno anche racconti dal sapore agrodolce. Calerà un pizzico di malinconia nell’apprendere come i cittadini si stiano gradualmente allontanando dal mondo artigiano, e quindi dalle tradizioni della propria città, preferendo magari i più moderni e freddi centri commerciali. Basterà soffermarsi per qualche minuto in una bottega qualunque, per notare come l’interesse dei turisti stranieri aumenti in parallelo alla disaffezione del romano.

 Questi spazi superstiti, ormai fuori del tempo, testimoniano anche gli enormi sforzi economici sostenuti per sopravvivere, contrastando mille difficoltà: a cominciare dalle richieste di affitti sempre più esosi e insostenibili. L’amministrazione locale dovrebbe sentire l’obbligo morale di tutelare queste realtà in via d’estinzione, nella consapevolezza che per ogni bottega che chiude un piccolo pezzo della storia romana sarà persa per sempre.

 Valeria Danesi

 

FOTO:

 

 

1 - Roma, Via degli Scipioni 46, “Antica Manifattura Cappelli”: Sandro apporta le ultime modifiche a uno dei suoi pezzi.
1 – Roma, Via degli Scipioni 46, “Antica Manifattura Cappelli”: Sandro apporta le ultime modifiche a uno dei suoi pezzi.
2 - Roma, Via del Pellegrino 93, “GiuncArt”: Umberto riscalda un pezzo di bambù, processo fondamentale per facilitarne la lavorazione.
2 – Roma, Via del Pellegrino 93, “GiuncArt”: Umberto riscalda un pezzo di bambù, processo fondamentale per facilitarne la lavorazione.
3 - Roma, Vicolo del Curato 14, “Isabella Cellini-gioielli in argento, bronzo e vetro di Murano”: Isabella e la lavorazione del vetro.
3 – Roma, Vicolo del Curato 14, “Isabella Cellini-gioielli in argento, bronzo e vetro di Murano”: Isabella e la lavorazione del vetro.
4 - Roma, Via dei Coronari 209, “Barbiere e Pedicure”: Luigi si prende cura di uno dei suoi clienti con una rasatura completa.
4 – Roma, Via dei Coronari 209, “Barbiere e Pedicure”: Luigi si prende cura di uno dei suoi clienti con una rasatura completa.
5 - Roma, Via del Governo Vecchio 78, “Bottega orafa Villani”: Vincenzo nel suo laboratorio dà forma a un bracciale.
5 – Roma, Via del Governo Vecchio 78, “Bottega orafa Villani”: Vincenzo nel suo laboratorio dà forma a un bracciale.
6 - Roma, Via del Teatro Pace 18, “Tappezzeria Ciani”: Luigi restaura una poltrona.
6 – Roma, Via del Teatro Pace 18, “Tappezzeria Ciani”: Luigi restaura una poltrona.
7 - Roma, Via dell’Orso 26, “Bottega Piovano”: Vincenzo intaglia il legno.
7 – Roma, Via dell’Orso 26, “Bottega Piovano”: Vincenzo intaglia il legno.
8 - Roma, Via di Montoro 13, “Michel Eggimann-Maestro Liutaio”: ancora un paio di settimane e il cliente avrà il suo violino. Per realizzarlo ci sono voluti più di due mesi.
8 – Roma, Via di Montoro 13, “Michel Eggimann-Maestro Liutaio”: ancora un paio di settimane e il cliente avrà il suo violino. Per realizzarlo ci sono voluti più di due mesi.
9 - Roma, Via Flaminia 58, “Casa delle Bambole”: la signora Pierina lavora a un pezzo da collezione.
9 – Roma, Via Flaminia 58, “Casa delle Bambole”: la signora Pierina lavora a un pezzo da collezione.
10 - Roma, Largo Febo 15, “Antica Libreria Cascianelli”: Claudio e i suoi libri.
10 – Roma, Largo Febo 15, “Antica Libreria Cascianelli”: Claudio e i suoi libri.

 

UN SUMMIT DELLE DONNE SUL MAR MEDITERRANEO

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LE DONNE NELLA NUOVA STAGIONE DEL MEDITERRANEO

CONFERENZA INTERNAZIONALE

Valencia, Ciudad de las Artes y las Ciencias, Sala del Mar Rojo

7-8 MAGGIO 2015

I paesi del Mediterraneo sono oggi attraversati da profonde trasformazioni, il cui esito non è ancora chiaro. Le donne sono state protagoniste di questi cambiamenti, in prima linea nelle proteste e nelle rivolte che hanno interessato molti paesi della regione mediterranea, mettendo fine, in alcuni casi, a regimi di lunga data, spesso anche a costo della vita o dell’esilio. Resta tuttavia da vedere come il loro impegno si tradurrà in conquiste concrete di lungo periodo in paesi ancora dominati da società patriarcali. La sfida principale riguarda dunque il modo in cui le donne influenzano e influenzeranno i processi di trasformazione, indirizzandoli affinché vengano intrapresi effettivi percorsi di riforma e riconosciuti eguali diritti e opportunità, tanto in campo politico quanto in ambito economico e culturale.

Proprio per la sua rilevanza, il tema non è nuovo. Tuttavia le diverse iniziative che si sono susseguite finora, anche nei paesi della sponda sud, hanno avuto un focus prevalentemente monotematico: dal forum delle donne imprenditrici alle iniziative sulla parità di genere, e così via su questa falsariga.

Il valore aggiunto di questa Conferenza è dunque quello di esplorare il ruolo e il contributo delle donne nell’evoluzione delle società mediterranee in una pluralità di ambiti, ponendosi come momento di riflessione, di scambio e di confronto tra voci autorevoli della società civile, dell’economia e della cultura dei paesi del Mediterraneo, con particolare riferimento a quelli in transizione.

Le tre sessioni sono state strutturate in modo simmetrico, ipotizzando per ciascuna di esse un keynote speech affidato a figure di alto profilo, che abbiano un ruolo di mediazione fra le relatrici stimolando così uno spazio più ampio di riflessione.

Le relatrici per ogni singola sessione saranno sei, identificate tra rappresentanti di categoria particolarmente significative rispetto al tema affrontato. La selezione delle relatrici è stata fatta secondo criteri di competenza e rilevanza rispetto ai temi delle tre sessioni.

L’intento è quello di dare preferenza a relatrici provenienti dai Paesi che hanno un ruolo determinante negli equilibri della regione mediterranea, oltre naturalmente alle relatrici provenienti dalla Spagna, paese ospite della Conferenza, e dall’Italia dove ha sede la Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo che ha promosso ed ideato l’iniziativa.

Le sessioni della conferenza saranno tre, cosi suddivise:

Sessione I: Donne ed Economia

La sessione si focalizzerà sul ruolo emergente delle donne nell’economia dei paesi del Mediterraneo e nel favorire crescita e sviluppo degli stessi.

Sessione II: Donne e Società civile

Il focus della sessione è sull’evoluzione della società civile e sul ruolo delle donne nel promuovere e stimolare, anche attraverso l’uso di blog e social network, i processi di cambiamento interni.

Sessione III: Donne e Cultura

Il focus è sul ruolo delle donne nei cambiamenti culturali, e sulla cultura e l’arte come strumenti di espressione del punto di vista femminile sulle trasformazioni delle società mediterranee.

 

Documenti:

1. Programma

 

 

FOTO:

Le donne salveranno il Mar Mediterraneo

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Sono state le donne, due anni fa, ad avviare la cosiddetta “Primavera araba”, quel processo di cambiamento politico e sociale iniziato nel dicembre 2013 in Piazza Tahrir, al Cairo. Una rivoluzione civile che ha coinvolto Paesi del nord Africa e dell’area medio-orientale: oltre all’Egitto, la Giordania, la Tunisia e il Marocco. E proprio alle donne è dedicata la Conferenza internazionale che la Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, presieduta dal professor Emmanuele Emanuele, ha organizzato per il 7 e 8 maggio a Valencia, in Spagna.

 Intorno al tema “Le donne nella nuova stagione del Mediterraneo”, si confronteranno le più autorevoli rappresentanti di 13 Paesi del “Mare nostrum” (Egitto, Turchia, Grecia, Tunisia, Bosnia-Erzegovina, Libia, Libano, Siria, Iran, Algeria e Marocco, insieme all’Italia come Paese organizzatore e alla Spagna in veste di Paese ospitante). Imprenditrici, economiste, attiviste per i diritti delle donne, docenti universitarie e artiste discuteranno sul senso di una sfida comune: in che modo le donne incidono e potranno continuare a incidere in futuro su questi processi di cambiamento, per avviarli verso riforme vere e proprie e verso il riconoscimento dei pari diritti e delle pari opportunità in campo politico, economico e culturale.

 «Le donne – commenta il professor Emanuele – sono le vere protagoniste di quella che è stata la stagione, sicuramente positiva per molti aspetti, che viene definita “Primavera araba”: un grande sommovimento a livello intellettuale e sociale finalizzato al raggiungimento di un’elevazione che mirava all’instaurazione della democrazia nei paesi del Maghreb. Questa speranza in molti casi è stata tradita, e oggi vediamo come molte delle protagoniste non sono qui tra noi perché colpite dalla furia cieca e assurda dell’integralismo, che ne ha fatto delle vittime o delle martiri. Siamo anche consci di dover constatare come quel processo sognato ed ipotizzato si stia, purtroppo, spegnendo di fronte a una reazione basata su convincimenti anche religiosi che ne stanno minando le fondamenta. Ma resta, tuttavia, il ruolo delle donne: le vere artefici, da sempre, dell’evoluzione della società, nonché nostra prima speranza per il futuro del Mediterraneo».

 Oggi, come si sa, quel mare che circonda le “amate sponde” della nostra Penisola è attraversato da flussi migratori senza precedenti e dalle minacce del terrorismo di matrice islamica. Toccherà alla Conferenza internazionale di Valencia, secondo le intenzioni della Fondazione Terzo Pilastro, individuare iniziative e progetti da promuovere per lo sviluppo di beni e servizi a forte impatto sociale, con un ruolo “pedagogico” nel settore terziario all’interno del bacino del Mediterraneo. Articolato in tre sessioni, per approfondire il rapporto fra le donne e l’economia, la   società civile e la cultura, l’incontro si svolgerà nell’Auditorio Rojo della Ciudad de las Artes y las Ciencias (ingresso libero) e potrà essere seguito anche a distanza sui social network Facebook e Twitter tramite il profilo WoMed15.

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Una Gallery sul paesaggio

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È una suggestiva veduta del Comune di Opi, nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ritratto come un presepe sotto la neve da Luigi Saccoccia, la foto che ha vinto quest’anno il primo premio di Obiettivo Terra 2015. Indetto dalla Fondazione UniVerde e dalla Società geografica italiana, il concorso punta a valorizzare il territorio e il paesaggio italiano, in quanto risorsa naturale del nostro Paese. Al secondo posto, un’immagine di Roberto Ganassa sul Parco regionale delle Orobie Valtellinesi (Lombardia) e al terzo quella di Maurizio Biasco sul Parco naturale regionale Costa Otranto-Santa Maria di Leuca-Bosco Tricase (Puglia), vincitrice anche della menzione speciale “Area costiera”.

Su un totale di 880 foto ricevute, ne sono state ammesse 797 conformi al Regolamento. Quelle sui Parchi nazionali sono 335 e quelle sui Parchi regionali 462. I Parchi nazionali più fotografati sono i Monti Sibillini (Umbria e Marche), con 45 scatti; poi il Parco nazionale dello Stelvio (Lombardia e Trentino-Alto Adige) e quello d’Abruzzo, Lazio e Molise, con 27 foto ciascuno; e infine il Parco nazionale Alta Murgia (Puglia), con 24.

La fotografia vincitrice verrà esposta in una maxi-affissione a Roma. Numerose le menzioni speciali assegnate per le diverse categorie naturalistiche: dagli animali agli alberi e foreste, dai fiumi e laghi all’Expo 2015 di Milano.

ALTRE FOTO:

COLOSSEO SHOW un’arena da rifare

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Se il Colosseo è il monumento italiano più noto al mondo, l’ultima “querelle” sulla ricostruzione dell’arena può essere considerata la sintesi di quella sindrome culturale che è un impasto di conservazione e protezionismo. Ripresa recentemente dal ministro Dario Franceschini, l’idea di ripristinare il piano di calpestio originario su cui si svolgevano gli spettacoli dei gladiatori era stata lanciata nel luglio 2014 sulla rivista “Archeo” da Daniele Manacorda, professore di Metodologia e tecnica della ricerca archeologica all’Università Roma Tre. Non un giornalista o uno storico dell’arte, dunque, bensì uno studioso della materia particolarmente qualificato e autorevole.

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Apriti cielo! I talebani della cultura sono subito insorti contro il progetto di ricostruire in legno il piano dell’arena, per renderlo nuovamente calpestabile e realizzare un museo nei sotterranei ora a cielo aperto. E a maggior ragione sono scesi ora sul piede di guerra, dopo che Franceschini ha prospettato la possibilità di allestire in questo spazio “rappresentazioni uniche al mondo, con diritti tv sufficienti per restaurare tutta l’area archeologica centrale”.

È sintomatica la reazione di Giuliano Volpe, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali. “Ci vuole tutela – ha predicato – e ci vuole buona comunicazione che fronteggi la cattiva comunicazione, quella del sensazionalismo, dei misteri, della fanta-archeologia”. E a dimostrazione della sua personale capacità comunicativa, ha aggiunto che per evitare conservatorismi “servono anastilosi”: un termine tecnico che non è contemplato neppure nei più diffusi dizionari della lingua italiana, come il Garzanti o il Devoto-Oli, ma significa in pratica ricostruzioni, elemento per elemento, con i pezzi originali di un edificio andato distrutto.

Ecco una conferma, ove mai ce ne fosse bisogno, dell’atteggiamento elitario e burocratico che ispira larga parte dei nostri dirigenti culturali, a cominciare da numerosi Sovrintendenti. Per non lasciare dubbi, lo stesso Volpe s’è dichiarato contrario a trasformare l’area centrale dell’arena in un parco archeologico perché “sarebbe visitato soprattutto dai turisti e rischierebbe di diventare un non luogo che espelle i cittadini”. Capite? Un “non luogo”, un’attrattiva turistica, a danno della cittadinanza.

C’è da augurarsi, invece, che proprio nell’interesse della collettività il progetto di Franceschini proceda e venga realizzato rapidamente. Fin dalle origini, l’arena del Colosseo è sempre stata in realtà un luogo di spettacoli: cruenti e crudeli, certamente, ma pur sempre spettacoli popolari. Opporsi alle visite dei turisti significa avere una mentalità ottusa e retrograda. “Ricostruire l’arena com’è stata fino all’Ottocento – ha detto giustamente il ministro dei Beni culturali e del Turismo – è un modo per tutelare il monumento”, rendendolo appunto più accessibile e comprensibile. Un modello di valorizzazione, insomma, nel rispetto della storia e della cultura.

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“RESORT ITALIA” UN LIBRO-VERITÀ

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Perché Abu Dhabi si prepara alla fine del petrolio costruendo il museo più grande del mondo e noi chiudiamo il Colosseo alle quattro e mezzo del pomeriggio? La provocatoria domanda compare nella quarta di copertina di “Resort Italia”, un libro-verità di Lorenzo Salvia pubblicato recentemente da Marsilio, con un sottotitolo che recita: “Come diventare il villaggio turistico del mondo e uscire dalla crisi” (presentazione il 13 aprile a Roma, con il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini e Sergio Rizzo, responsabile della Redazione economica romana del “Corriere della Sera”, libreria Arion – piazza Montecitorio 59).

Dal primo posto che deteneva nella graduatoria mondiale del Turismo, da qualche anno ormai l’Italia è retrocessa al quinto posto. E ciò nonostante il fatto che il nostro Paese possiede notoriamente il più grande patrimonio storico, artistico e culturale del pianeta. Eppure, il Turismo resta la nostra prima industria nazionale, la risorsa principale a nostra disposizione, il deposito di valori a cui attingere per rilanciare l’occupazione e l’economia nazionale.

Il saggio di Salvia tocca, dunque, un nervo scoperto della crisi italiana. “Il turismo – si legge nel risvolto di copertina – è il migliore degli export possibili: è l’unico comparto del Made in Italy che lascia da noi non solo il marchio ma anche la produzione, i lavoratori e gli stipendi”.

La nostra Grande Bellezza, celebrata nel film di Paolo Sorrentino con la magistrale interpretazione di Toni Servillo, rimane perciò la nostra maggiore ricchezza. Ma, come avverte l’autore di “Resort Italia”, da sola non basta più: “È arrivato il momento di passare dal ‘museo deposito’ al ‘modello Ikea’, per coltivare quella dimensione industriale del turismo e della cultura che finora abbiamo ignorato”.

Se la diagnosi di Salvia è certamente condivisibile, la sua prognosi non mancherà probabilmente di suscitare reazioni e polemiche negli ambienti più burocratici e corporativi come quelli delle varie Sovrintendenze, artistiche, archeologiche, paesaggistiche e via discorrendo. Non gli si può dare torto, però, quando osserva che “non è soltanto una questione di beni culturali: chi decide di venire in Italia lo fa non solo per vedere il Colosseo ma anche per tutto quell’insieme di fattori unici che rendono il nostro Paese famoso nel mondo, dal cibo alla moda passando per il design”.

Ecco, allora, la metafora di un “Resort Italia” per sollecitare una trasformazione di tutta la nostra economia in funzione dell’industria turistica e culturale. “Meglio un monumento pubblico ma in rovina – si chiede alla fine il libro – o un monumento gestito da privati ma restaurato e aperto ai visitatori?”. La risposta di “Amate Sponde”, già contenuta nel nostro editoriale d’esordio, può essere soltanto la seconda.

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Parco Nazionale delle CinqueTerre (foto di Mario Spalla - 2012)
Parco Nazionale delle CinqueTerre (foto di Mario Spalla – 2012)
Gran Sasso e Monti della Laga - Marche, Lazio, Abruzzo (Foto di Mauro Rinaldi - 2014)
Gran Sasso e Monti della Laga – Marche, Lazio, Abruzzo (Foto di Mauro Rinaldi – 2014)
Parco Regionale delle Tre Cime - Dolomiti di Sesto - Trentino Alto Adige (Foto di Riccardo Cocco Riccardo - 2011)
Parco Regionale delle Tre Cime – Dolomiti di Sesto – Trentino Alto Adige (Foto di Riccardo Cocco Riccardo – 2011)
Parco Nazionale dei Marche Sibillini - Marche-Umbria (Foto di Giovanni Dala - 2010)
Parco Nazionale dei Marche Sibillini – Marche-Umbria (Foto di Giovanni Dala
– 2010)

BENI CULTURALI LARGO AI PRIVATI

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amate-sponde-libro-montanariPiù che una recensione, è una stroncatura quella che – a firma di Pierluigi Panza – il Corriere della Sera ha dedicato al pamphlet di Tomaso Montanari, definito nell’articolo “storico dell’arte e critico militante”. Nel libro, intitolato “Privati del patrimonio” (Einaudi), l’autore lancia in sostanza un j’accuse contro quello che considera un attentato ai Beni culturali da parte dei privati, esponendo le sue tesi critiche.

“Non è accettabile – scrive fra l’altro Montanari –  la mercificazione a ogni costo”. E ancora, se il fine della trasmissione del patrimonio storico e artistico è la conoscenza, “lo Stato non deve prestare qualsiasi opera pubblica a qualunque mostra”; “non deve riconoscere abnormi contropartite in cambio di sponsorizzazioni”; o “adattarsi a fare da maggiordomo in fondazioni di cui è il massimo contribuente” oppure “consentire a uno stilista di disporre di un ponte di Firenze come sala da pranzo”. Qui il riferimento polemico appare rivolto indirettamente a Matteo Renzi che, da sindaco della città toscana, concesse per una sera l’uso di Ponte Vecchio per una cena di gala della Ferrari in cambio di un “affitto” di 100mila euro, più un contributo di altri 20mila per il restauro di un monumento, provocando qualche protesta fra i commercianti e i turisti.

Per quanto possano risultare in larga parte anche condivisibili, “tutte queste considerazioni – replica Panza sul Corriere della Sera – definiscono il perimetro di un alto ideale che trova casa nel migliore dei mondi possibili”. Osserva poi realisticamente l’autore dell’articolo: “Ma un ministro dei Beni culturali e gli operatori di settore di un Paese che sta svendendo aziende, lavoro…possono davvero operare tenendo conto di tutte queste indicazioni?”. E risponde all’interrogativo: “È difficile; inoltre credo che nel settore della tutela dei Beni non sia più tempo per pensare teorie o sovrapporre ideologie, perché l’unica via è quella del pragmatismo nelle regole (da cambiare), è il primum vivere per salvare i moribondi mutilati di un teatro di guerra”.

Siamo completamente d’accordo con l’articolista del Corriere. In un Paese con un debito pubblico di oltre duemila miliardi, e nel pieno di una crisi economica come quella che attraversiamo, continuare a sostenere che la tutela e la gestione dei Beni culturali debbano essere esercitate esclusivamente dallo Stato, “diventa una predicazione sotto le bombe”. Tesi di questo genere appartengono alla sfera dell’ideologia, dell’integralismo culturale o dell’utopia. Ma il peggio è che così si finisce per favorire, più o meno inconsapevolmente, l’abbandono e il degrado di tanti monumenti, chiese, palazzi, castelli e via discorrendo, per la manutenzione dei quali i fondi statali – pochi o tanti che siano – non basteranno mai.

 LINK, foto di Ponte Vecchio chiuso