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ARTE SUL TERRITORIO CONTRO IL DEGRADO

“L’arte applicata al territorio come strumento per combattere il degrado”. Con questo input di Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro, s’inaugura il 28 giugno ad Arezzo la terza edizione di “Icastica”, la rassegna internazionale che resterà aperta fino al 27 settembre.

Tra passato storico e presente autorevole, la kermesse aretina si occupa di linguaggi creativi nel tempo, dal materiale artistico al documento, dalla testimonianza all’esperienza. Per tre mesi, nel centro della città, sarà possibile ammirare e “vivere” le opere di oltre cento artistici contemporanei tra i più significativi della scena mondiale, legate ai capolavori di Cimabue, di Piero della Francesca e Giorgio Vasari, in quasi quaranta sedi interne ed esterne.

Fra le testimonianze di maggior rilievo, c’è anche la “street art” che ha valorizzato le facciate di numerosi edifici di Tor Marancia a Roma, con l’esperienza di “Big City Life” promossa dalla stessa Fondazione Terzo Pilastro. “Questa – dice il professor Emanuele – è un’espressione artistica di grande vitalità ed efficacia comunicativa: non a caso oggi questo quartiere romano è più visitato dei grandi musei”.

Il filo conduttore di “Icastica”, come spiega l’art director Fabio Migliorati per l’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Arezzo, tende a coniugare il Vero del paesaggio con il Buono del cibo e il Bello dell’arte: “Un trittico delle meraviglie deliziose che rappresenta la Cultura coltivata”.

È proprio in questo senso che la rassegna aretina – articolata in tre  sezioni: Iconic, Project ed Event – si collega all’Expo 2015 di Milano, l’Esposizione universale imperniata sull’alimentazione. Si tratta di una questione fondamentale per il futuro dell’intera umanità, come ha ammonito nei giorni scorsi Papa Francesco con la sua enciclica “Laudato sì” in chiave ambientalista.

 

 

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SALVARE CIVITA rischia di crollare

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Sono già 16mila le firme, al ritmo di mille al giorno, a sostegno della petizione lanciata due settimane fa dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, per salvare Civita di Bagnoregio: il borgo medioevale, in provincia di Viterbo, rischia di crollare a causa delle frane che si ripetono frequentemente. L’iniziativa di Zingaretti punta a raccogliere 25mila firme per chiedere di inserirlo nei siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, in modo da preservarlo e accedere magari ai finanziamenti internazionali. Primo firmatario dell’appello, l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Costruito nel corso dei secoli su una roccia di tufo, collegato al territorio circostante da uno stretto ponte pedonale che diventa ogni giorno più precario, il borgo viene invaso durante il week-end da 3-4mila turisti che pagano un ticket d’ingresso di un euro e mezzo. Ma questi fondi non sono sufficienti a salvaguardarlo dalle calamità naturali: soltanto negli ultimi sette mesi, si sono verificate ben tre frane. Per riparare i danni, secondo i geologi occorrerebbero almeno sette milioni di euro, a cui ne va aggiunto poi uno all’anno per la conservazione.

Ma, ammesso pure che Civita venga inserita nella lista dell’Unesco per aggiungersi ai 51 siti già riconosciuti in Italia, è questa la soluzione più giusta ed efficace? In realtà, il nostro Paese non riesce a sfruttare adeguatamente un tale patrimonio naturale e culturale. Tant’è che il turismo da noi produce ricavi per circa 136 miliardi di euro all’anno, pari all’8,6% del Prodotto interno lordo, contro i 185 miliardi della Francia (9,8% del Pil) che ha 39 siti Unesco e i 160 miliardi della Spagna (14,9%) dove i siti sono 44.

C’è da sperare, comunque, che l’appello lanciato da Zingaretti e sottoscritto da Napolitano possa servire almeno ad accendere i riflettori su questo caso, innescando un meccanismo di finanziamenti pubblici e privati. Poi, superato l’allarme per i crolli, sarà opportuno realizzare un piano di gestione e valorizzazione per continuare a raccogliere i contributi necessari per l’ordinaria manutenzione. Con la sua storia e la sua singolare bellezza, il borgo di Civita merita una mobilitazione popolare, anche al di fuori dei confini del Lazio.

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La petizione si può firmare on line a questo indirizzo:

www.change.org/p/salviamo-civita-di-bagnoregio

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CERTOSA DI TRISULTI UN NUOVO PROGETTO

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C’è un nuovo progetto per rivitalizzare la Certosa di Trisulti, il monastero medioevale costruito nel 1202 a Collepardo (Frosinone) per volere di Papa Innocenzo III, dichiarato monumento nazionale dal 1873. In attesa dei 300mila euro stanziati dal ministero delle Attività culturali e del Turismo (e non ancora erogati) per i lavori più urgenti di restauro, ora un’iniziativa popolare punta a valorizzare il sito attraverso un’attività di informazione e promozione culturale. E, dopo la decisione delle gerarchie ecclesiastiche di ritirare anche gli ultimi due monaci che lo abitavano e ne curavano l’ordinaria manutenzione, la mobilitazione risulta ancora più utile e opportuna per cercare di fermare il progressivo degrado dello storico complesso: infiltrazioni, crollo dei tetti, solai puntellati.

Elaborato dall’Associazione “Amici della Certosa” e sostenuto da varie organizzazioni locali (Lega Ernica, Naturnauti, I Cavalieri di montagna e Slow Food Lazio), il progetto “Trisulti nel cuore” è stato presentato il 9 giugno al FAI (Fondo ambiente italiano) per richiedere un finanziamento complessivo di circa 8mila euro. Ma ora occorre garantire un terzo della somma per ottenerlo. Altrimenti, si rischia di abbandonare il sito al suo destino.

La Certosa di Trisulti s’è piazzata al 32° posto nell’ultima graduatoria nazionale dei “Luoghi del cuore”, compilata dai sostenitori del FAI, seconda nel Lazio e prima nella provincia di Frosinone. L’antico convento di Collepardo ha ottenuto 10.430 voti su un totale di oltre un milione e 600mila, distribuiti tra oltre 20mila luoghi segnalati. E perciò l’Associazione “Amici della Certosa”, insieme agli gruppi locali, s’è fatta carico di elaborare un progetto di valorizzazione.

Il progetto tende a salvaguardare il valore culturale e i beni paesaggistici di tutta l’area circostante, favorendo la conoscenza storica del monastero; la divulgazione dell’antica tradizione erboristica e officinale, rappresentata qui dalla splendida Farmacia del XVIII secolo, decorata con “trompe-l’oeil” realistici d’ispirazione pompeiana e arredata con mobili del Settecento; la diffusione delle ricerche universitarie orientate allo studio e alla promozione geo-turistica; le eccellenze eno-gastronomiche del territorio.

In concreto, il finanziamento richiesto al FAI dovrebbe consentire di realizzare un sito Internet su Trisulti, in modo da far conoscere meglio la Certosa e la zona che la circonda. È prevista anche una App per i cellulari con gli stessi contenuti. A completare il progetto, una serie di pannelli informativi per illustrare i vari ambienti del monastero e in particolare la storia e la funzione dell’antica Farmacia.

Non c’è, dunque, alcun rischio di “sfruttamento” né tantomeno di “mercificazione” nella proposta degli “Amici della Certosa di Trisulti”. C’è solo un interesse, nel senso migliore del termine, a tutelare un monumento storico nazionale. E c’è anche la disponibilità a partecipare a questa operazione, nello spirito di un volontariato ambientale e culturale.

 

 

ALLEGATI (CLICK PER VISUALIZZARE):

1. PROGETTO CERTOSA DI TRISULTI

 

 

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UN TICKET CULTURA MONUMENTI PROTETTI

I “nuovi barbari” contro la natura e la cultura. Dal fasto della Reggia di Caserta in Campania al fascino dell’antica tonnara di Scopello in Sicilia, il nostro patrimonio di Beni comuni è minacciato da un’orda di vandali. Sono i visitatori e i turisti incivili che assaltano parchi pubblici, oasi naturali e spiagge, danneggiando il territorio e l’ambiente.

La polemica è scoppiata dopo che il Ministero dei Beni culturali e del Turismo, in vista della prima “Domenica al museo” di giugno (gratis), ha disposto il pagamento di un ticket di 3 euro per l’ingresso al Parco della Reggia di Caserta: si spera così che non si ripetano più le scene di invasione e danneggiamento come quelle del 3 maggio scorso, tra cui numerose partite di pallone improvvisate dai gitanti. Le visite agli appartamenti storici, invece, resteranno gratuite.

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Contro questa soluzione, s’è subito schierato il sindaco di Caserta, Pio Del Gaudio, preoccupato evidentemente più di difendere il proprio patrimonio elettorale che quello pubblico. Ma il direttore generale dei musei presso il Ministero, Ugo Soragni, è fermamente intenzionato a salvaguardare i preziosi giardini all’interno della Reggia. Tanto che lui stesso ha sollecitato il responsabile regionale dei Beni culturali, Lucca Maggi, a chiedere al prefetto di convocare una riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza, per affrontare una volta per tutte l’indecoroso assedio degli ambulanti che circondano Palazzo Reale.

A diversi chilometri di distanza, sulla costa tra Palermo e Trapani, una situazione analoga riguarda la tonnara di Scopello, di proprietà privata. Anche qui è stato introdotto un ticket di 3 euro per attraversare una stradina che porta al mare, un paradiso terrestre deturpato in continuazione dai turisti. E anche qui, naturalmente, il sindaco di Castellammare del Golfo è insorto contro l’imposizione del biglietto rivendicando la libertà dei suoi concittadini.

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Da segnalare, invece, la coraggiosa presa di posizione di Legambiente, una delle associazioni ambientaliste più responsabili e concrete. Ha replicato il direttore generale, Gianfranco Zanna: “Ma quale battaglia di libertà! Questa è solo demagogia. Stiamo parlando di un luogo unico. Non di un tratto di mare come tutti gli altri, qui non c’è demanio e non c’è battigia. E grazie ai privati, non è più un bivacco come una volta”.

In linea di principio, i Beni naturali, artistici e culturali, appartengono a tutti e tutti hanno diritto perciò di goderne. Ma quando l’inciviltà prevale sulla responsabilità, come purtroppo accade spesso in tali situazioni, lo Stato ha il dovere d’intervenire e di provvedere per tutelare l’interesse della collettività. Ben venga, allora, il “ticket cultura” se questo può funzionare da deterrente contro il vandalismo. E soprattutto, se contribuisce a finanziare la pulizia, la manutenzione e la sorveglianza del nostro patrimonio comune.

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DOLOMITI LUCANE UNA VIA FERRATA

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La via ferrata sulle “Dolomiti lucane” si farà. Dopo varie opposizioni da parte di alcune associazioni ambientaliste, il Tar ha respinto il ricorso della Lipu (Lega italiana per la protezione degli uccelli). La Basilicata potrà avere così un motivo in più di attrazione per incrementare il turismo.

Il progetto della ferrata fra Castelmezzano e Pietrapertosa risale al 2012, per un importo complessivo di 440mila euro finanziato con i fondi PIOT (Pacchetti integrati di offerta turistica). Fin dall’inizio, fu osteggiato dagli ambientalisti perché a loro avviso l’opera avrebbe danneggiato la flora e la fauna, in particolare la specie protetta della cicogna nera, all’interno di quest’area che è un “sito di interesse comunitario” (Sic). Ma evidentemente il Tribunale amministrativo regionale non ha riconosciuto questo rischio e ha tenuto conto anche dell’esigenza di sviluppare il turismo.

Dal primo maggio, intanto, è iniziata nei due comuni della Basilicata la nuova stagione del “Volo dell’Angelo” per sorvolare le rocce lungo cavi d’acciaio, sfiorando una velocità di circa 120 chilometri all’ora: da quest’anno, anche in coppia. Un’alternativa più tranquilla e distensiva è quella offerta dal “Percorso delle sette pietre”, un suggestivo itinerario fra i totem scultorei parlanti che raccontano la storia di questa terra. La “via ferrata”, invece, consentirà agli appassionati di scalare le pareti rocciose, per “conquistare” la vetta e ammirare il panorama dall’alto.

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EMERGENZA ULIVI / Stop al piano

Se non fosse un autentico dramma per l’ambiente, per il territorio e per il paesaggio pugliese, e quindi per l’agricoltura e per il turismo, si potrebbe anche dire che sta diventando una farsa. La “peste degli ulivi” che ha colpito il patrimonio di alberi secolari in Salento minaccia ora di estendersi al resto della regione. Ma il peggio è che l’epidemia prodotta dal batterio-killer rischia di assumere contorni grotteschi sul piano burocratico e giudiziario, come accade spesso alle vicende dei beni ambientali e culturali italiani.

Il commissario delegato all’emergenza, Giuseppe Silletti, aveva fatto appena in tempo ad annunciare che “il vettore della Xylella è stato efficacemente combattuto nella misura straordinaria dell’80 per cento dei casi”, che il Tar del Lazio – competente sul territorio nazionale – ha pensato bene di sospendere il Piano d’intervento, predisposto per combattere il rischio fitosanitario. I ricorsi accolti dal Tribunale amministrativo contestavano la delibera del Consiglio dei ministri che aveva dichiarato lo stato d’emergenza e disposto le misure per fronteggiarlo. In realtà, questi provvedimenti nazionali erano stati assunti per attuare la Decisione di esecuzione della Commissione europea: e cioè, l’abbattimento degli alberi malati o sospettati di esserlo, ma anche di tutte le piante nel raggio di cento metri dall’ulivo infetto. Per completare il quadro, la magistratura ordinaria ha deciso di indagare perfino sui tecnici chiamati a indagare sulla strage nei campi, alimentando così un sentimento generale d’incertezza e di sfiducia.

“Può anche darsi che tra i professori ci siano invidie e rivalità – ha scritto Giuseppe De Tomaso, direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, il quotidiano interregionale di Puglia e Basilicata – che sabotano il gioco di squadra. Può anche darsi che nel gruppo degli ambientalisti ci siano fondamentalisti adusi a dire no a tutto e a tutti. Ma non si può assistere impassibili e inerti di fronte a questo stato di cose che rischia di sfociare in un irrimediabile cupio dissolvi. È in gioco la Puglia del futuro, non solo la Puglia del 2015”.

Nel rimpallo delle responsabilità e delle decisioni, infatti, il Tar è sceso in campo contemporaneamente contro il governo e contro l’Ue, in attesa che venga completato l’iter della Commissione europea che prevede misure più rigide. Ancora una volta, insomma, la giustizia italiana ha steso la sua ragnatela di carta bollata, bloccando un intervento che stava cominciando già a dare i suoi frutti. Di fronte all’emergenza, è scattata una comprensibile reazione di difesa da parte dei produttori e degli stessi ambientalisti, ma il pericolo è che la “peste degli ulivi” si propaghi a tutta la regione e anche oltre i suoi confini.

Non c’è dubbio che si tratta di un inestimabile patrimonio naturale, da cui dipendono la produzione agricola pugliese, la tutela del paesaggio e quindi lo sviluppo del turismo. E ancor più e ancor prima, la stessa identità sociale e culturale di una regione. Eppure, senza entrare nel merito di valutazioni tecniche che presuppongono competenze specifiche, è chiaro che anche in questo caso la “riduzione del danno” s’impone come una necessità: per salvare gli ulivi sani, occorre sacrificare quelli malati per poi magari sostituirli e rimpiazzarli.

 

NUOVO SPAZIO ESPOSITIVO A ROMA

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Lo storico Auditorium della Conciliazione di Roma, a pochi passi dalla Basilica di San Pietro e dalla Città del Vaticano, viene reinventato nel rispetto della sua vocazione originaria, ampliandone le potenzialità espressive. Il progetto  “VISIONAREA” nasce da un’idea dell’artista Matteo Basilé e dall’Associazione Amici dell’Auditorium Conciliazione, con il sostegno della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo: un nuovo contenitore culturale, generato dall’unione tra creatività e managerialità, destinato all’arte contemporanea in chiave attuale e trasversale. Attuale perché capace, appunto, di  rigenerare un luogo come l’Auditorium della Conciliazione. Trasversale perché flessibile e capace di accogliere le differenze come valore da sostenere e promuovere, di eliminare confini espressivi e creativi privilegiando le storie e la ricerca di quella umanità meno visibile.

Un’area straordinaria che si sviluppa intorno al Chorus Cafè, per poi estendersi all’interno degli spazi principali dell’Auditorium. Un Temporary Art Museum, affidato alla direzione artistica di Matteo Basilé, dove possano convivere arte, musica, cinema, moda, letteratura e food, attraverso progetti site-specific e collaborazioni con altri fenomeni artistici e culturali, nazionali e internazionali.

Per queste sue caratteristiche, il progetto corrisponde perfettamente al principio ispiratore dell’attività della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo e del suo presidente Emmanuele Emanuele: da anni, infatti, la Fondazione è impegnata nella costruzione di nuove forme di dialogo interculturale, anche attraverso l’arte, dimostrando quanto la bellezza sia un codice condivisibile di comunicazione. “VISIONAREA – dice il presidente Emanuele – è un’iniziativa unica a Roma: non solo uno spazio espositivo, non solo un luogo di incontro fra onnivori della cultura, ma molto altro ancora: un incubatore di idee, un osservatorio privilegiato sull’arte contemporanea e, in un futuro si spera non lontano, un polo di produzione di progetti per artisti di tutto il mondo”.

In questo spirito, s’inaugura il primo evento che apre il programma di “VISIONAREA”: la mostra fotografica di Julia Fullerton-Batten, curata da Clara Tosi Pamphili, che racconta la Corea, un luogo lontano descritto in termini iper-contemporanei. Le sue immagini, in virtù di una definizione post-produttiva tanto decisa da accentuare ogni singolo elemento del racconto visivo, appartengono a una dimensione onirica, al confine tra sogno e realtà. La bellezza diventa “il luogo” per eccellenza dove la memoria delle forti tradizioni culturali è espressa dalle donne coreane, ritratte nei loro meravigliosi kimono Hanbok; figure che non sembrano umane vivono come adesivi sullo sfondo di una Seoul fredda senza fondersi mai con l’ambiente in cui si muovono. Veri e propri still-life dove le donne sono fiori, perfette figure vegetali, o decorazioni dove la ricchezza del colore non porta valore plastico, ma contribuisce ad annullare ogni tensione umana: è la descrizione poetica della storia di un Paese ancora ricco di riti e tradizioni, ma con forti contrasti politici fra Nord e Sud. Otto immagini come finestre che guardano fuori e dentro un mondo che ha perso la distanza geografica e si è avvicinato a noi, grazie alla visione della fotografa tedesca che vive e lavora a Londra e che per “VISIONAREA” presenta la sua seconda mostra in Italia (Auditorium della Conciliazione, Roma – dal 28 maggio al 10 settembre 2015).

FORUM PERMANENTE DONNE E MEDITERRANEO

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S’è conclusa con una proposta operativa la Conferenza internazionale sul ruolo delle donne nel futuro del Mediterraneo, organizzata a Valencia dalla “Fondazione Terzo Pilastro”: quella di costituire un Forum permanente su questa complessa e decisiva tematica, con una piattaforma web per raccogliere i blog, i social network e i video delle protagoniste che hanno partecipato al summit in Spagna. L’ha lanciata in chiusura dei lavori il presidente della Fondazione, Emmanuele Emanuele, annunciando anche l’invio di un documento conclusivo a tutti i governi delle due sponde del Mediterraneo.

 “Così fra sei mesi o un anno – ha aggiunto il professor Emanuele – avremo alle spalle un lavoro che ci consentirà di alzare il tiro: la prossima volta oltre all’analisi della situazione vogliamo qui accanto a noi i decisori. Vogliamo che chi può decidere, a prescindere dal sesso, sia con noi a parlare di fatti, di vita concreta, di destini delle persone”. E poiché la cultura e l’arte costituiscono un perno della Fondazione, per legare la questione femminile nel Mediterraneo a questa attività verrà allestita per il prossimo ottobre in Sicilia una mostra intitolata “La Palermo araba-normanna”.

 A partire dalla “Dichiarazione di Velencia”, dunque, l’obiettivo strategico indicato dal presidente Emanuele è quello di “stabilire un canale permanente che fornisca ai nostri media gli argomenti e i personaggi per raccontare quello che sta realmente succedendo; che fornisca ai nostri politici le informazioni per agire nel corso degli incontri bilaterali; che fornisca agli intellettuali che spesso parlano in libertà gli argomenti per essere informati su un dibattito di civiltà; che fornisca alle stesse donne della sponda Nord argomenti per la battaglia comune, poiché nessuno vince da solo; che fornisca alle stesse associazioni imprenditoriali la possibilità di organizzare scambi commerciali che tengano presente anche l’imprenditorialità femminile, sapendo che per dare più potere alle donne occorre aiutarle a essere attive e ad avere la mentalità da imprenditrici, con iniziative che sappiano guardare ai nuovi mercati; favorire nuove leve politiche più schierate dalla parte delle donne; e, infine, fare networking”.

 Con questo impegno programmatico, l’iniziativa della Fondazione Terzo Pilastro punta ora ad avvicinare le due sponde del Mediterraneo, quello Nord e quella Sud, nella speranza di contribuire a farlo diventare davvero il “Mare nostrum”: cioè di tutti i popoli che s’affacciano su questo bacino d’acqua, di storia e di cultura. Già artefici della cosiddetta “primavera araba”, le donne possono svolgere un ruolo decisivo per sviluppare ulteriormente un processo di crescita economica, sociale e democratica. E in questa prospettiva, una responsabilità particolare spetta senz’altro all’Italia, ponte naturale fra l’Europa e l’Africa.

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Mobilitazione popolare per una chiesa-gioiello

Che cosa succede quando un volenteroso gruppo di cittadini decide di lottare per le proprie “amate sponde”? La risposta è semplice: un vero miracolo espresso chiaramente dalla cifra di 37.766. Tanti sono i voti che il comitato “Salviamo la chiesa di Sant’Agnello” di Maddaloni, in provincia di Caserta, è riuscito a ottenere grazie a un’opera di sensibilizzazione nata con l’obiettivo di tutelare la piccola chiesa. Passione e dedizione che hanno permesso al monumento di posizionarsi, lo scorso febbraio, al 5° posto nella classifica nazionale stilata per l’iniziativa “I Luoghi del Cuore”. Con la partecipazione attiva degli italiani, il Fai -Fondo ambiente italiano- vuole individuare, recuperare e valorizzare, attraverso lo stanziamento di fondi economici, beni artistici e paesaggistici dimenticati. E spesso abbandonati al degrado.

L’antico gioiello del casertano, risalente probabilmente all’epoca paleocristiana, è documentato a partire dal 1113, ma per comprenderne maggiormente la storia è necessario tornare indietro all’anno 1980 quando un terribile evento sismico distrusse gran parte delle sue strutture architettoniche. Ed è proprio a questo drammatico episodio che il tempo all’interno della chiesa sembra essersi fermato, facendo così scattare tra alcuni abitanti di Maddaloni, nel marzo 2014, la voglia di intervenire in prima persona per difendere dal degrado un tassello importante per la storia dell’arte locale.

Di “chiesa” e di “sacro” a Sant’Agnello, nonostante sia ancora sede parrocchiale, resta davvero ben poco: un tetto crollato, rattoppato impropriamente da una temporanea copertura metallica, navate invase dai calcinacci e tanta polvere lo hanno di fatto trasformato nel set di un film di genere post-apocalittico. Nonostante la situazione critica, però, il tenace comitato non si è fatto scoraggiare e oltre a numerose campagne di pulizia compiute per rimuovere i rifiuti accumulati negli anni, ha dato il via a una serie di iniziative culturali, esclusivamente autofinanziate, che hanno permesso sia alla chiesa di scalare la classifica Fai, sia alla città di riscoprire, o in alcuni casi anche di conoscere per la prima volta, questo tesoro.

Inspiegabilmente, immune dall’entusiasmo nato in seguito a questo spontaneo e vivo movimento di riappropriazione del patrimonio artistico sembra essere il proprietario dello stabile: la Curia di Caserta. Un proprietario distratto e assente che, oltre a non aver mai garantito in passato gli interventi di restauro necessari al ripristino della chiesa ferita dal sisma, continua ancora oggi a non voler fare i conti con le continue richieste d’intervento avanzate dal comitato. Un’indifferenza che è ancor più difficile da accettare, soprattutto alla luce del clamoroso successo ottenuto durante la raccolta voti che ben testimonia l’attaccamento popolare a Sant’Agnello.

In attesa che la Curia decida finalmente di intervenire restituendo dignità alla chiesa, non resta che complimentarsi con questi cittadini che, rimboccandosi le maniche, hanno dimostrato come lottare per il proprio territorio non sia mai un’azione priva di senso. Grazie a loro, infatti, Sant’Agnello esiste nuovamente e siamo sicuri che molto presto calcinacci, tetti crollati e polvere saranno solo un lontano ricordo.

 Valeria Danesi

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La foto  è stata gentilmente concessa dal comitato "Salviamo la chiesa di Sant'Agnello” (Maddaloni, Caserta)
La foto è stata gentilmente concessa dal comitato “Salviamo la chiesa di Sant’Agnello” (Maddaloni, Caserta)

 

 

La foto  è stata gentilmente concessa dal comitato "Salviamo la chiesa di Sant'Agnello” (Maddaloni, Caserta)
La foto è stata gentilmente concessa dal comitato “Salviamo la chiesa di Sant’Agnello” (Maddaloni, Caserta)

Rischia di crollare IL PONTE degli alpini

Non tutti i monumenti, neppure quelli più importanti, diventano un simbolo o un’icona. Questo, invece, è senz’altro il caso del Ponte di Bassano, lo storico ponte degli Alpini sul fiume Brenta. Un simbolo o un’icona, appunto, della nostra tradizione militare: dalla Grande Guerra alla Resistenza e alla Liberazione.

 Ma oggi il Ponte di Bassano del Grappa (Veneto) è a rischio. Costruito interamente in legno, dalla struttura fino al tetto, esposto ogni giorno alle intemperie, accusa un decadimento statico con un grave stato di degrado e dissesto. E perciò occorre un intervento urgente per risanare, recuperare e valorizzare il manufatto.

 Per accedere ai finanziamenti del ministero dei Beni culturali, il primo passo dovrebbe essere il riconoscimento ufficiale del Ponte come monumento nazionale. Ma nel frattempo s’è costituito un Comitato promotore, a cui hanno aderito già numerosi cittadini e operatori economici locali, per affiancare l’Amministrazione pubblica in un progetto di recupero e valorizzazione. Hanno accettato di farne i “testimonial” d’eccezione tre veneti : il bassanese campione del mondo di rally, Miki Biasion; lo chef stellato vicentino Carlo Cracco e Renzo Rosso, patron della “Diesel”, la multinazionale dell’abbigliamento di Breganze nota nel  mondo per i suoi jeans “Made in Italy”.

 Oltre al recupero del Ponte, attraverso una proficua collaborazione tra pubblico e privato, il progetto punta a valorizzare il monumento sul piano turistico internazionale. Si tratta di inserirlo in tour specialistici, come le Opere Palladiane, per promuovere la sua attrattiva anche all’estero. Un obiettivo comune all’Associazione culturale “Territori del Brenta”, recentemente costituita per promuovere un marchio d’area con le strategie del marketing territoriale.

 (Chi volesse contribuire all’iniziativa “Aiutiamo il Ponte di Bassano”, può utilizzare questo Iban: IT 24 N 0830 9601 6100 700 0249 53)

ALLEGATI (click per visualizzare):

1. LA STORIA DEL PONTE

 

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