ALL’ASTA LA VILLA DI GIUSEPPE VERDI, IL MINISTRO: “UNA SFIDA CHE NON POSSIAMO PERDERE”

ALL’ASTA LA VILLA DI GIUSEPPE VERDI, IL MINISTRO: “UNA SFIDA CHE NON POSSIAMO PERDERE”

È stimata intorno ai 25 milioni di euro. Ma, sul piano culturale, artistico e sentimentale, il suo valore è molto più alto. Rischia ora di andare all’asta Villa Verdi, la dimora in cui abitò per cinquant’anni il nostro grande compositore, nella Bassa fra Busseto, Villanova e Cortemaggiore. “Una vicenda tremendamente italiana”, recita il titolo dell’articolo a firma di Vittorio Testa pubblicato sulla Gazzetta di Parma. “Verdi come Dante, salvare la sua villa”, protesta il direttore d’orchestra Riccardo Muti, lanciando un appello. E il suo più giovane collega, Sebastiano Rolli, dichiara allo steso giornale: “Questa vicenda così dolorosa ci dovrebbe spingere a una riflessione: a capire cioè che Giuseppe Verdi (nella foto sotto) è stato un artista intellettuale di respiro mondiale”. E nei giorni scorsi, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano s’è recato in visita sul posto, dichiarando alla Gazzetta di Parma: “Faremo tutto quello che si dovrà fare per rendere la Villa di Sant’Agata un punto d’interesse mondiale. E’ una sfida che non possiamo perdere”. Sarebbe opportuno ora che il ministero ponesse al più presto un  vincolo su questo bene che appartiene al nostro patrimonio culturale.

Giuseppe Verdi

Prima che Villa dell’Orso di Sant’Agata chiudesse i battenti, sono stati quasi quattromila i visitatori che nell’ultima settimana di apertura hanno voluto rendere omaggio alla memoria di Verdi, acquistando il biglietto per varcare i cancelli ed entrarvi. “Un assalto da Guinness per le esequie della dimora del Cigno”, chiosa Testa. L’articolo della Gazzetta di Parma ricostruisce poi le tappe della storia giudiziaria, una storia di eredità contesa, che ha portato alla decisione del Tribunale di mettere all’asta la villa e il parco che la circonda.

VILLA VERDI interno 1

Racconta il giornalista: “La situazione esplode nel settembre del 2001: e proprio, si dice, il giorno 11 mentre crollano le Torri gemelle, inizia la diatriba tra i quattro fratelli, figli del notaio Alberto suoi giorni. Ripercorriamo la vicenda senza testimonianze dirette: che tutti i protagonisti hanno le bocche cucite. Dunque, ci sarebbe un notaio che lascia il testamento nel quale assegna la gestione della Villa all’unico figlio maschio, Angiolo. Come era accaduto per Alberto. Il testamento sarebbe stato messo nella cassaforte della quale tutti i famigliari avevano la chiave. Conferma la cosa una delle sorelle. Ma poi il testamento sparisce. No, sostengono le altre due sorelle secondo le quali non c’era e se c’era loro non l’hanno visto. Inizia così il Ventennio fratricida, al punto di programmare due funerali separati alla morte della madre. In primo grado, s’è detto, vince Angiolo. Nel secondo c’è il ribaltamento: il maschio ha torto, l’eredita va suddivisa in quattro parti eguali. Nessuno di loro è in grado di liquidare gli altri tre. E mancando l’accordo la Villa e il parco saranno messi all’asta. Angiolo, che insieme alla moglie ha gestito la Villa in questi anni, chiede di poter restarvi fino alla vendita dell’immobile, valutato intorno ai 25 milioni di euro. Richiesta respinta: deve sloggiare con moglie e due figli entro il 31 ottobre, poi la data slitta di un mese. Ma il Carrara Verdi decide di chiudere definitivamente”.

VILLA VERDI interno 2

Da esperto e appassionato di musica lirica, Testa non può far a meno di commentare (giustamente): “Una vicenda tremendamente italiana, nostrana, questa della dimora di un padre della Patria, cittadino del mondo patrimonio dell’umanità, che abbiamo provincializzato richiudendolo e richiudendoci in una bega da cortile, se fosse parmigiano, parmense o piacentino; senza che le istituzioni pubbliche, cioè gli amministratori pubblici, i governi e lo Stato siano mai stati all’altezza di un’idea che fosse un’idea non asfittica, ma di sola episodica propaganda in occasione delle ricorrenze obbligate, i Cinquantenari, i Centenari, i Bicentenari. Roma, il ministero si limita a erogare i fondi, per incassare i quali sgomitano teatri, Comuni, Provincie e Regioni. Giuseppe Verdi serve alla bisogna quando c’è da soffiare nel trombone del patriottismo di giornata, quello che ha fatto del ‘Va’ pensiero’ un coro obbligato nelle cerimonie pubbliche, e aperto al canto del pubblico teatrale per infervorare l’ambiente di italianità. Al punto che lo si voleva adottare come inno nazionale: un lamentoso motivo di sofferenza imbelle! Che infatti non ebbe richieste di bis alla prima del ‘Nabucco’ del 1842 nella Scala gremita di soldati austroungarici”.

 

 

 

 

 

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