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SPRECATI 355 MILIONI PER RENDERE “GREEN” GLI EDIFICI PUBBLICI

Mentre aspettiamo i primi 25 miliardi del Recovery Fund europeo, da investire innanzitutto sulla transizione ecologica e tecnologica, sprechiamo 355 milioni di fondi disponibili per l’efficienza energetica dei nostri edifici pubblici. La denuncia – ripresa dal Messaggero, il quotidiano della Capitale che appartiene all’immobiliarista Francesco Gaetano Caltagirone, uno che se ne intende – arriva addirittura dalla Corte dei Conti. Una serie di pastoie e complicazioni burocratiche ha impedito di spendere questi soldi, di cui 315 milioni richiesti da vari ministeri per rendere le proprie sedi più confortevoli e meno inquinanti: finora, dal 2015 al 2020, i lavori conclusi ammontano ad appena 6,8 milioni.

I fondi provengono dal sistema delle aste per la compensazione delle emissioni di CO₂. Le imprese che diffondono anidride carbonica e quindi gas serra devono acquistare sul mercato europeo degli Ets (Emission trade system) crediti per pagare il “diritto a inquinare”. L’Europa li incassa e li gira in gran parte agli Stati membri. E l’Italia, come spiega l’articolo di Andrea Bassi pubblicato sul giornale romano, destina metà della sua quota alla riduzione del debito pubblico e un’altra metà all’efficientamento degli edifici pubblici, generalmente vetusti o fatiscenti, per sostituire infissi, caldaie, pompe di calore e quant’altro.

Fatto sta che – secondo la Corte dei Conti – il mancato utilizzo di questi soldi si traduce in uno spreco di denaro pubblico. “Il primo problema – scrive il giornalista – è che il decreto attuativo per spendere le risorse che doveva arrivare in 30 giorni, ci ha messo due anni per essere emanato”. Ma è la stessa magistratura contabile a mettere il dito nella piaga, stigmatizzando “le troppe amministrazioni coinvolte”.

C’è, innanzitutto, il ministero dello Sviluppo economico che, con l’aiuto del Gse (Gestore dei servizi elettrici) e dell’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, deve compilare ogni anno il piano degli interventi. Tocca poi al ministero dell’Ambiente occuparsi del piano a medio e lungo termine per l’efficientamento degli immobili pubblici. E una “cabina di regia” deve coordinare le rispettive competenze dei due ministeri. Poi c’è l’Agenzia del Demanio, presso la quale è accentrata la manutenzione ordinaria e straordinari degli edifici. E ancora, il ministero delle Infrastrutture interviene tramite i provveditorati alle opere pubbliche che devono sovrintendere alla progettazione esecutiva dei lavori e ai vari cantieri. Spetta infine all’Agenzia del Demanio fare accordi quadro con le imprese, in base al criterio (nefasto) del massimo ribasso che – com’è noto – spesso è causa di revisioni e rialzi a catena, lavori mal eseguiti e utilizzo di materiali scadenti.

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“Il risultato – si legge ancora nell’articolo del Messaggero – è che dei 230 progetti presentati dalle amministrazioni, solo 162 hanno ottenuto il finanziamento, solo per 25 sono stati stipulati contratti per l’esecuzione dei lavori e solo 3 cantieri (tutti su immobili dei Vigili del Fuoco) si sono conclusi, per una spesa di 379mila euro”. Un labirinto burocratico, insomma, in cui i fondi restano in stand by e lo spreco si consuma. E insieme ai ministeri, molti altri palazzi pubblici cadono a pezzi, come per esempio quello che ospita a Roma la sede della Consob e dell’Antitrust in piazza Verdi (foto sopra) o quello della Rai in viale Mazzini, “infestato” dall’amianto. È chiaro che l’Italia, se la nostra burocrazia non cambia passo, dopo la prima tranche dei finanziamenti europei rischia così di non ricevere più quelli successivi.

 

 

 

 

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