Prendete 25 campi da tennis, 159 metri quadrati al minuto, 2,7 al secondo. Tra il 2016 e il 2024 abbiamo consumato ogni ora in Italia il corrispettivo di suolo. Solo l’anno scorso sono stati coperti con superfici artificiali 84 chilometri quadrati, con un incremento del 16% rispetto all’anno precedente, il valore più alto dell’ultimo decennio. È come se nell’arco di 12 mesi fossero stati costruiti 12mila campi da calcio.

Sta tutta in queste cifre, riportate dal quotidiano d’ispirazione cattolica Avvenire in un articolo a firma di Elisa Campesi, l’avanzata del cemento che consuma il territorio nazionale. I dati sono contenuti nel Rapporto annuale dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, intitolato “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”. E costituiscono un atto d’accusa contro la cementificazione del nostro Paese, ma anche contro la sottrazione di terreni all’agricoltura per essere ricoperti di impianti fotovoltaici.
“Il suolo è una risorsa poco rinnovabile e forse negli ultimi anni l’abbiamo sottovalutata”, dichiara il presidente di Ispra, Stefano Laporta, al giornale della Cei (la Conferenza episcopale). E aggiunge: “Ogni metro quadrato cementificato può diventare un fattore di rischio in un Paese già altamente esposto al dissesto idrogeologico, oltre a compromettere l’agricoltura e la capacità di adattamento al cambiamento climatico”. In sostanza, un avvertimento sui danni che questa tendenza può provocare all’ambiente e alla salute collettiva.

Scrive la giornalista di Avvenire: “Si continua dunque a impattare sulla capacità di assorbimento dell’acqua in territori già soggetti ad alluvioni, oltre a costruire in luoghi con livelli di sismicità troppo alti, con tutto ciò che ne consegue in termini di costi umani ed economici quando si verificano le emergenze”. È proprio il consumo di suolo, infatti, che sta all’origine degli effetti devastanti di tante calamità naturali: fiumi “tombati”, coste cementificate, frane e allagamenti. Ed è la mano dell’uomo, come documenta questo Rapporto dell’Ispra, che li provoca.

Per paradosso, anche l’installazione dei pannelli fotovoltaici direttamente sul terreno contribuisce ad aggravare la situazione. Il consumo di suolo dovuto agli impianti solari risulta quadruplicato: dai 420 ettari del 2023 al oltre 1.700 del 2024. Tra le regioni che ne fanno maggior uso, spiccano il Lazio, la Sardegna e la Sicilia. Nel frattempo, la crescente esigenza di infrastrutture digitali e servizi cloud alimenta l’espansione dei data center. Solo l’anno scorso ha comportato l’occupazione di oltre 37 ettari di superficie, concentrata soprattutto nelle regioni settentrionali. E sono le aree più industrializzate del Paese a richiedere anche lo sviluppo della logistica con le copertura artificiali del territorio (oltre 6 mila ettari dal 2006 a oggi).
Il maggior consumo annuale di suolo si registra in Emilia-Romagna (circa mille ettari). Seguono Lombardia (834 ettari), la Puglia (818), la Sicilia (799), e il Lazio (785). E perfino la regione che ne consuma di meno, cioè la Val d’Aosta, ne aggiunge più di 10 al conto totale.

Ma sono le coste, nei primi 300 metri dal mare, ad accusare il maggior effetto di impermeabilizzazione a causa del cemento. Qui il livello del fenomeno è più del triplo rispetto al resto del territorio nazionale. A seguire, le pianure (11,4%), fondi valle e aree di vocazione agricola prossime a quelle urbane. Nelle città, intanto, la disponibilità di verde continua a diminuire: 3.700 ettari di aree naturali perduti nel 2024.

Tutto ciò avviene – per di più – in un Paese che registra un progressivo calo demografico. Dove – come dice Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – si vedono “sempre più cemento sui campi, sempre meno abitanti in città”. Non c’è, dunque, che “invertire la rotta” per contrastare il degrado del Malpaese.


