Milioni di cittadini italiani sono stati esposti negli anni, attraverso l’acqua potabile, a sostanze chimiche certificate come “pericolose per la salute” dalla comunità scientifica. E quindi, giudicate “non sicure” e “inaccettabili” in diversi Paesi. L’allarme proviene da Greenpeace, l’associazione ambientalista e pacifista internazionale, che ha presentato i risultati di un’indagine condotta tra settembre e ottobre dello scorso anno in 235 Comuni di tutte le Regioni e le province autonome. Ed è stato ripreso e rilanciato da Avvenire, il quotidiano d’ispirazione cattolica della CEI (Conferenza episcopale italiana), in un articolo a firma di Silvia Perdichizzi.
In pratica, secondo l’indagine di Greenpeace, non c’è territorio del nostro Paese che non sia esente dalla contaminazione da Pfas (sostanze chimiche poli e perfluoroalchiliche). Nel linguaggio comune vengono chiamati “inquinanti eterni” perché non si degradano nell’ambiente. Ma restano per sempre. “Del resto – spiega la stessa giornalista – è proprio questa una delle proprietà ad aver reso i Pfas ‘attrattivi’ per l’industria a partire dagli anni ‘50”: lo scopo, per esempio, era quello di rendere i prodotti industriali impermeabili ad acqua e grassi”.
Un’altra caratteristiche di queste sostanze è che si accumulano nelle acque, nell’aria, nei terreni, negli animali e perfino nelle persone. E perciò, sono fonte di possibili tumori, innalzamento anomalo del colesterolo, infertilità, disturbi del sistema immunitario e anche dell’apprendimento nei bambini. Tant’è che l’OMS, l’Organizzazione mondiale della Sanità da cui gli Stati Uniti sono appena usciti per volere del neo-presidente Donald Trump, li ha dichiarati cancerogeni. Mentre l’Unione europea ha in programma la loro totale messa al bando.
Gli esperti di Greenpeace hanno prelevato 260 campioni di acqua delle fontanelle stradali. Le analisi, condotte da un laboratorio certificato e indipendente, hanno rilevato tracce di Pfas nel 79% dei casi, con in testa il Nord del Paese, l’area più industrializzata. Per quanto si tratta di sostanze dannose e nocive, commenta Giuseppe Ungherese, responsabile del settore inquinamento per Greenpeace: “Dobbiamo tenerceli, insomma, ma non dobbiamo assolutamente produrne ancora”.
I casi più clamorosi si sono verificati in Veneto e in Piemonte. La provincia di Alessandria ospita – come riferisce Avvenire – l’unica industria chimica italiana (la Solvay, oggi Syensqo) che produce ancora Pfas. Mentre, per il caso veneto, nel 2022 l’Onu dispose una visita del suo Special Rapporteur su “diritti umani e sostanze tossiche”, dichiarandosi seriamente preoccupata per la popolazione. Non c’è regione, tranne l’Abruzzo, che non sia stata contaminata: in tutte le altre, oltre metà dei campioni sono risultati positivi.
È questo il caso di Milano in Lombardia, ma anche di altre regioni tra cui l’Emilia Romagna, la Liguria, la Toscana, la Sardegna e l’Umbria con in particolare Perugia. “Attualmente – sottolinea l’articolo del quotidiano della CEI – in Italia i controlli sui Pfas sono per lo più inesistenti e non c’è una legge che ne vieti l’uso e la produzione”. Solo fra un anno entrerà in vigore una direttiva europea che impone alcuni limiti normativi, ritenuti però insufficienti di fronte al progresso scientifico. Da qui, una petizione contro i Pfas lanciata da Greenpeace, a cui hanno aderito finora 136mila cittadini. Si può sottoscrivere all’indirizzo: