Si stima pari a 3.042 miliardi di euro NEL 2024 il valore complessivo della Bioeconomia in Europa, intesa come l’insieme delle attività che utilizzano materie prime di origine biologica e rinnovabile. Il settore occupa in totale oltre 17 milioni di addetti, l’8,7% sul totale dell’Unione a 27. L’Italia pesa il 14% e nel 2024 ha generato una produzione pari a 426,8 miliardi di euro, occupando più di due milioni di persone. Sono i dati principali dell’11° Rapporto sulla Bioeconomia, presentato da Intesa Sanpaolo insieme a Cluster Spring.
Le stime per il 2024 evidenziano un lieve calo del valore della Bioeconomia italiana rispetto al 2023, pari a -0,4% (variazione a prezzi correnti), sintesi del rientro delle tensioni inflative e di un’elevata eterogeneità delle performance dei comparti che la compongono. Ai buoni risultati della filiera agro-alimentare, che rappresenta oltre la metà della Bioeconomia in Italia, infatti, si contrappone il calo di alcuni comparti di forte specializzazione del nostro sistema produttivo, quali il Sistema Moda e la filiera del legno e dei mobili. Nonostante il debole rallentamento stimato nel 2024 rimane rilevante il peso della Bioeconomia sul totale dell’economia italiana: rappresenta, infatti, circa il 10% in termini di valore della produzione e il 7,7% considerando l’occupazione.
Un’indagine condotta presso 171 imprese clienti di Intesa Sanpaolo, attive nel settore della produzione di imballaggi in plastica, conferma il ruolo che i prodotti bio-based già giocano ora nel contesto italiano: poco meno della metà delle imprese intervistate utilizza già input di origine naturale e di queste circa il 40% presenta un utilizzo superiore al 30% di tali materie prime sul totale degli input. Si tratta di imprese fortemente vocate all’innovazione, che hanno scelto di utilizzare materie prime bio-based spinte soprattutto da motivi di competitività e di richieste del mercato.
La Bioeconomia rappresenta un’opportunità straordinaria di sviluppo inclusivo anche delle Aree Interne, ovvero quei territori con minore accesso ai servizi essenziali, in particolare nel Mezzogiorno. Tali territori, che rappresentano circa i tre quinti del territorio nazionale, secondo l’analisi realizzata da SRM, posseggono un capitale ecologico e produttivo che le rende naturalmente vocate a sostenere la transizione verso la Bioeconomia. La loro ricchezza in biodiversità, la prevalenza di colture stabili, la diffusione di pratiche biologiche, la presenza di sistemi agro-silvo-pastorali integrati e la relativa assenza di agricoltura intensiva configurano questi territori come aree strategiche per l’Italia, non solo in termini produttivi, ma soprattutto come custodi di servizi ecosistemici e innovazione sostenibile.
Per innescare un cambiamento duraturo è necessario un salto di qualità nelle politiche pubbliche, sia in Italia sia a livello europeo. La Commissione di Bruxelles, nel “Clean Industrial Deal”, ha riconosciuto il carattere strategico della Bioeconomia come pilastro fondamentale lungo la strada della costruzione di un sistema economico e produttivo competitivo e sostenibile. La revisione della Bioeconomy Strategy, attesa per la fine del 2025, potrà rappresentare un passo importante per promuovere le potenzialità dei materiali bio-based e ridurre le dipendenze dall’estero.
Ulteriore tassello è rappresentato dalle policy legate alla tutela della biodiversità: la protezione della biodiversità è un requisito fondamentale per l’economia, l’evoluzione sociale e culturale. Le filiere della Bioeconomia, a partire da quella agro-alimentare, sono strettamente intrecciate con la salute del suolo, delle acque, dell’aria. Tuttavia, la tutela della biodiversità, nonostante la crescente consapevolezza e le azioni di policy introdotte a livello europeo e italiano, risulta ancora un tema poco diffuso tra le imprese italiane.