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ALL’ASTA LA REGGIA DI MARIA LUIGIA, MOGLIE DI NAPOLEONE, PER TRE MILIONI: RESORT DI LUSSO

Tre milioni e trentamila euro, per quasi cinquemila metri quadrati, sono pur sempre un buon affare. Tanto più se si tratta di un bene storico e monumentale che potrebbe essere trasformato in un resort o un hotel de charme. Questo destino incombe sul Casino borbonico dei Boschi di Carrega, nel cuore dell’Emilia-Romagna, dimora di Maria Luigia d’Asburgo, moglie di Napoleone, che qui si ritirò dopo l’esilio del marito a Sant’Elena ricevendo in cambio il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla (nella foto principale di Paolo Gepry).

Progettato dall’architetto Alexandre Petitot, venne inaugurato nel 1789, proprio agli albori della Rivoluzione francese. Furono i Savoia, dopo l’unità d’Italia, a cederlo ai privati. Ma poi, nel 1994, lo storico Casino divenne un bene pubblico e passò al Parco regionale dei Boschi di Carrega. Abbandonato al degrado, ora il Casino viene messo all’asta con i suoi 4.785 metri quadri di superficie complessiva. A meno che il ministro della Cultura, Giuliano Sangiuliano, non intervenga e ponga un nuovo vincolo in forza dell’interesse pubblico.

L’allarme è stato lanciato dallo storico dell’Arte, Tomaso Montanari, in un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano. Scrive l’autore: “Mentre la Cavallerizza di Torino (cioè un pezzo dei palazzi reali sabaudi, sito Unesco…) diventa (come largamente previsto e denunciato) un hotel di lusso a centrotrenta stanze e mille stelle, va all’asta metà di un’altra straordinaria reggia”. E sarebbe un ulteriore sfregio alla nostra “Grande Bellezza”.

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Oltre al corpo centrale originario, denominato “Casinetto” su due livelli e piano interrato, si possono acquistare la cosiddetta “Prolunga”, un colonnato lungo trecento metri e largo 13 fatto costruire da Maria Luigia; la Prolunga Sud con i suoi rustici settecenteschi e la Prolunga Nord con i fabbricati aggiunti nell’Ottocento. Un complesso principesco, insomma, destinato ormai a non accogliere più nobili titolati ma ospiti danarosi, sottraendo un altro cespite al patrimonio storico e architettonico del Belpaese.

Commenta polemicamente Montanari sul Fatto: “Naturalmente, visto che, come ammette il bando stesso – una ‘parte considerevole’ dei beni in vendita sono ‘collabenti’ (cioè cadenti) o ‘in stato di degrado strutturale’, questi 4.785 mq di architetture da manuale di storia dell’arte sono svenduti a una basta d’asta di tre milioni e trentamila euro. Bel servizio ai cittadini di Parma, dell’Emilia-Romagna e dell’Italia!”.

Questa operazione dovrebbe servire a salvare i boschi circostanti. E ciò a vantaggio dell’investimento immobiliare futuro. “In sintesi – conclude lo storico dell’Arte – la Regione Emilia-Romagna svende un monumento pubblico per finanziare ciò che resta, mettendo un pezzo del patrimonio culturale della nazione al servizio del profitto privato”.

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