SVOLTA “GREEN” DELL’ENI IN BASILICATA

SVOLTA “GREEN” DELL’ENI IN BASILICATA

C’è voluta un’inchiesta giudiziaria sull’inquinamento prodotto dalla trivellazioni petrolifere in Basilicata per convertire finalmente l’Eni sulla via di Damasco: quella delle energie alternative, da sviluppare anche in questa regione. Il caso riguarda il l’area intorno al Centro Oli della Val d’Agri, compresa fra i monti Sirino e Volturino, il giacimento sulla terraferma più grande d’Europa.

Su richiesta della Procura di Potenza, recentemente era stato messo agli arresti domiciliari l’ex dirigente del Distretto meridionale dell’Eni, Enrico Trovato, oggi in servizio all’estero per la stessa compagnia petrolifera, e altre 13 persone risultano indagate per i reati di disastro, disastro ambientale, abuso d’ufficio e falso ideologico. Una vicenda tanto oscura quanto inquietante, su cui è scattato un’incomprensibile black-out sui media nazionali, influenzati probabilmente dal potere pubblicitario e commerciale dell’azienda. Ma sulla quale occorre fare piena luce al più presto, anche perché la concessione per le trivellazioni dell’Eni in Val d’Agri scadrà nell’ottobre 2019.

Forse anche in vista di questa scadenza, nei giorni scorsi l’amministratore delegato Claudio Descalzi ha annunciato una svolta “green”, per trasformare l’area in una “Energy Valley”, con un investimento di circa 80 milioni di euro in quattro anni che prevede l’installazione di impianti fotovoltaici e l’assunzione di 200 unità. Un Centro di Eccellenza per le Energie Rinnovabili si occuperà dello studio di soluzioni tecnologiche, formazione tecnica e assistenza per la fase pilota; iniziative ad alta sostenibilità ambientale che mirano a ridurre le emissioni e il footprint ambientale, come per esempio la realizzazione dell’impianto Mini Blue Water per il trattamento delle acque; lo sviluppo di interventi per la diversificazione economica, come il progetto «Agrivanda» che mira al ripristino dei campi dismessi e in stato di abbandono adiacenti al Cova attraverso la produzione di piante officinali, il biomonitoraggio e lo sviluppo di attività didattiche e laboratoriali nonché attraverso la promozione di iniziative di Formazione e Sperimentazione Agraria; la creazione di una sala operativa (Centro di Monitoraggio Ambientale) dove far confluire i dati relativi al monitoraggio delle matrici ambientali in corrispondenza del Cova e dintorni.

L’episodio che aveva fatto traboccare il vaso, provocando l’inchiesta giudiziaria, è stato uno sversamento di 400 tonnellate di petrolio che ha inquinato un’area di 6mila metri quadrati. Ma questo è solo l’ultimo caso in ordine di tempo.

In sedici anni, secondo la magistratura, sarebbero stati contaminati 26mila metri quadri su un’area di 180mila, pari al 15% del suolo e sottosuolo intorno al Centro Oli Val d’Agri (COVA), il giacimento petrolifero sulla terraferma più grande d’Europa. In base ai risultati dell’indagine giudiziaria, oltre 854mila tonnellate di sostanze pericolose sono state smaltite irregolarmente, con gravi danni per l’ambiente e soprattutto per la salute collettiva. “Un disastro ambientale – ha scritto Rosy Battaglia, “investigative journalist”, sul sito valori.it – che ha prodotto eccessi di mortalità in tutti i campi come accertato dall’indagine epidemiologica condotta da Fabrizio Bianchi, ricercatore del CNR, dove guida l’unità epidemiologica ambientale dell’Istituto di Fisiologia clinica”.

Nel suo studio di Valutazione di impatto sulla salute (VIS), realizzato nei Comuni di Viggiano e Grumento Nova in provincia di Potenza, l’area cioè su cui insiste la concessione petrolifera, il professor Bianchi ha rilevato un dato sconcertante. In questi due paesi, come si legge nel documento, “si muore di più e ci si ammala di più per determinate patologie, sia rispetto al resto della Val d’Agri sia rispetto al resto della regione”. E ancora: “I risultati mostrano degli eccessi di rischio che sono connessi con gli inquinanti derivanti dal Cova”. Dalla stessa Vis, emerge inoltre “un’elevata percezione di rischio sia ambientale che sulla salute. Il Cova è prevalentemente considerato molto pericoloso: oltre il 60% degli intervistati ritiene che sia certo o molto probabile il rischio di una patologia tumorale, di infertilità e anche di condizioni piuttosto rare come le malformazioni congenite”.

A fronte di questo allarme, non risulta neppure che le trivellazioni abbiano favorito finora l’occupazione in Basilicata. In tutti questi anni di sfruttamento degli idrocarburi, come documenta il libro “L’economia del petrolio e il lavoro” scritto da Davide Bubbico, non è stata creata ricchezza per il territorio e per la popolazione lucana. L’industria petrolifera ha trovato uno spazio modesto nell’indotto, legato in gran parte alla gestione dei rifiuti che la stessa produce.  A tutto ciò, si deve aggiungere infine che la Corte dei Conti ha denunciato la scarsa trasparenza sull’uso delle “royalties” di circa 150 milioni all’anno da parte di molte amministrazioni pubbliche: secondo una relazione del 2014, spesso sono state spese in modo anomalo.

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