STOP ALLE TRIVELLE: 90 RICHIESTE IN ATTESA

STOP ALLE TRIVELLE: 90 RICHIESTE IN ATTESA

Sono 90 le richieste in attesa di autorizzazioni per la ricerca di petrolio e gas, sul territorio e nei mari italiani, bloccate dal 2018. In seguito al mancato stop previsto nel Milleproroghe, se non verrà introdotta nel frattempo la moratoria sostenuta dai due ministri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico, ad agosto potrebbero riprendere le trivellazioni che minacciano quasi tutte le nostre coste. L’allarme è stato lanciato dal Fatto Quotidiano, con un documentato articolo a firma di Virginia Della Sala.

“La mappa dei permessi in attesa non risparmia nessun angolo della Penisola”, scrive la giornalista. E aggiunge: “Le richieste pendenti in mare sono per lo più concentrate tra l’Adriatico e il Canale di Sicilia”. Tra la Puglia, la Basilicata e la Calabria, ne risultano almeno otto. Ma le pratiche aperte riguardano anche le coste abruzzesi, marchigiane e romagnole. Più di 50 quelle per la terraferma.

Gli interessi petroliferi nel Mediterraneo sono cospicui. Secondo Confindustria Energia, il valore aggiunto prodotto da queste attività ammonterebbe a 3 miliardi di euro, con un’occupazione di circa 30mila addetti. E nei prossimi 15 anni, prima del Covid e degli impegni assunti per ricevere i fondi europei, erano stati già previsti circa 10 miliardi di investimenti.

Ora si tratta di capire quale può essere l’utilità di tante ricerche degli idrorcarburi in un’epoca in cui si tende ormai ad abbandonare i combustibili fossili, altamente inquinanti e nocivi per l’ambiente e per la salute collettiva. L’obiettivo strategico non è quello di utilizzare le energie alternative, a cominciare dalle fonti rinnovabili come il sole e il vento? La cosiddetta “transizione ecologica”, per combattere il riscaldamento del pianeta e il cambiamento climatico, non dovrebbe contemplare una svolta radicale in questa direzione? Ed è lecito compromettere l’equilibrio del mare e la bellezza delle coste, installando nuove trivelle offshore e onshore che mettono a rischio anche l’industria del turismo?

Sono questi gli interessi generali che bisogna contrapporre a quelli privati dei petrolieri. Da una parte, l’ecologia; dall’altra, l’economia. Eppure, il “Green New Deal” predisposto dal governo italiano, in linea con le direttive europee, contempla l’abbandono progressivo dei combustibili fossili e una definitiva “conversione” all’energia pulita. E diversi studi dimostrano che gli investimenti sulla sostenibilità ambientale sono anche redditizi e proficui per le aziende, per la produzione e l’occupazione.

“Stop al petrolio”, si dovrebbe dire ora una volta per tutte. Stop alle trivelle e alle perforazioni, in mare e sulla terraferma. E quindi stop allo sfruttamento della natura, all’inquinamento, al riscaldamento globale. Più che una moratoria, cioè una sospensione, occorre un’interruzione, una chiusura di queste attività che estraggono petrolio e denaro dal sottosuolo, a beneficio di pochi e a danno di tutti gli altri.

Nel frattempo la Danimarca, diventata dal ’72 il primo produttore europeo di greggio e il terzo di gas naturale e petrolio, ha deciso di mettere fine alle trivellazioni nel Mare del Nord entro il 2050. E in questa prospettiva, il governo danese ha già annullato intanto l’ultima “tranche” delle autorizzazioni e, d’accordo con il Parlamento, ha stabilito di non assegnarne più in futuro. Una “lezione” che può valere anche per l’Italia.

 

 

 

 

 

 

Share this: