STOP ACCIAIO “SPORCO”: AFFARI E MALAFFARI DIETRO IL CASO EX ILVA

STOP ACCIAIO “SPORCO”: AFFARI E MALAFFARI DIETRO IL CASO EX ILVA

A pochi giorni dalla sentenza con cui la Corte d’Assise di Taranto ha stabilito che quello dell’ex Ilva – l’acciaieria più grande d’Europa, gestita dalla famiglia Riva – fu un disastro ambientale, arrivano nuovi provvedimenti giudiziari che rivelano scambi di favori illeciti dietro questo scandalo affaristico e sanitario. La Procura di Potenza ha disposto l’arresto dell’ex legale dell’Eni Piero Amara e l’obbligo di dimora per l’ex procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo. Le misure cautelari emesse dal gip del tribunale lucano riguardano anche il poliziotto Filippo Paradiso ( in servizio presso gli uffici che collaboravano con i vari sottosegretari alla Presidenza del Consiglio dei ministri) e l’avvocato Giacomo Ragno. Tra le accuse anche la corruzione in atti giudiziari. L’acciaio “sporco” che ha avvelenato gli operai dell’ex Ilva e i cittadini di Taranto diventa così sempre più sporco.

Con un verdetto destinato a segnare una svolta in tutta questa vicenda, e probabilmente nella storia dell’ambientalismo italiano, la Corte d’Assise ha comminato una valanga di pene detentive per un totale che supera i 200 anni di reclusione. Nessuno potrà restituire purtroppo la vita e la salute a tante vittime di questo disastro, né alleviare il dolore dei loro familiari o dei loro amici, ma almeno l’esemplare maxi-sentenza di Taranto – la cui lettura ha richiesto 1 ora e 46 minuti – rappresenterà un monito in futuro agli speculatori e inquinatori del Malpaese. Un precedente che sarà difficile da cancellare o eludere.

I fratelli Riva, Fabio e Nicola, sono stati condannati rispettivamente a 22 e 20 anni. Alla loro “longa manus”, Girolamo Archinà, responsabile delle Relazioni istituzionali, ne sono stati inflitti 21 e 6 mesi. I principali fiduciari dell’acciaieria, Alfredo Ceriani, Lanfranco Legnani, Agostino Pastorino e Giovanni Rebaioli, dovranno scontare 18 anni e 6 mesi ciascuno.

L’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, è stato condannato a 3 anni e 6 mesi per concussione aggravata in concorso. “Mi ribello a una giustizia che calpesta la verità”, ha reagito con veemenza Vendola: “Appelleremo questa sentenza, anche perché rappresenta l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata. Sappiano i giudici che hanno commesso un grave delitto contro la verità e contro la storia”. L’ex governatore pugliese s’è definito quindi un “agnello sacrificale”, sostenendo che il verdetto è “una vergogna” e “una carneficina del diritto e della verità”.

Oltre a Vendola, sono stati condannati insieme ad altri anche l’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, 3 anni, accusato di aver fatto pressione sui dirigenti della sua amministrazione perché concedessero all’Ilva l’autorizzazione a utilizzare la discarica interna della fabbrica; l’ex assessore provinciale all’Ambiente, Michele Conserva (stessa pena); l’ex direttore di Arpa Puglia, Giorgio Assennato (2 anni), sul quale Vendola avrebbe esercitato pressioni indebite; l’ex consulente della Procura, Lorenzo Liberti (15 anni e 6 mesi).

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Con la stessa sentenza, inoltre, la Corte d’Assise di Taranto ha comminato all’Ilva una multa di 4 milioni di euro e ha disposto la confisca dell’area a caldo dello stabilimento. Quest’ultimo provvedimento, però, non avrà effetti immediati sulla produzione del siderurgico, fino al momento dell’eventuale conferma da parte della Cassazione. Resta in vigore, invece, il sequestro con facoltà d’uso da parte di Acciaierie Italia, la joint venture fra Arcelor Mittal e Invitalia che gestisce l’impianto.

Il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, protagonista di una dura campagna contro l’ex Ilva in difesa della salute collettiva, commenta: “La condanna di oggi, legata al processo ‘Ambiente Svenduto’, è un segnale alla politica: bisogna cambiare, non condannare Taranto all’economia alla diossina, ma guardare a modelli virtuosi in Europa”. E infatti, dalla Germania alla Svezia, gli esempi in questo campo non mancano. Il problema non è se produrre acciaio o meno, ma come produrlo. Vale a dire utilizzando le energie alternative, piuttosto che i combustibili fossili e inquinanti. L’acciaio “pulito” esiste e può essere prodotto con l’idrogeno verde, quello ricavato anch’esso dalle fonti rinnovabili. Ora con la sentenza di Taranto, in attesa di quella d’appello, cala il sipario sulla siderurgia “sporca”.

«Ho sentito parlare di tante cose a proposito della sentenza della Corte di Assise di Taranto, ma non del prezzo altissimo che i tarantini hanno pagato per la scelta criminale di alcune persone”, ha dichiarato nei giorni scorsi il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, aggiungendo che “la chiusura dei reparti a caldo ormai è inevitabile”. Nel frattempo, a suo parere, l’acciaieria potrebbe continuare a lavorare con quelli a freddo. “Noi – conclude Emiliano – abbiamo già candidato Taranto a diventare un polo nazionale dell’idrogeno che si può produrre o con l’energia elettrica o con il gas naturale, e questi due elementi ci consentirebbero di pretendere dall’Ue la protezione della nostra produzione ‘green’ dell’acciaio”.

INTERVISTA AL MINISTRO CINGOLANI (da ilfattoquotidiano.it)

 

 

 

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