SÌ TAV O NO TAV?

SÌ TAV O NO TAV?

di Giovanni Valentini

 Sì Tav o no Tav? Chiariamo innanzitutto una questione preliminare che non è puramente lessicale: si dice “la” Tav o “il” Tav? L’Accademia della Crusca informa che la sigla Tav mantiene una doppia valenza: una pienamente rispettata dalla stessa sigla, laddove si allude al treno ad alta velocità e quindi maschile; l’altra, laddove si allude alla linea o alla rete ferroviaria nel suo complesso e quindi femminile. È chiaro, allora, che quando si parla di analisi costi/benefici e si discute se costruire o meno l’opera, s’intende evidentemente la linea o rete ferroviaria. E perciò, qui diremo “la” Tav.

Seconda questione. La Tav di cui tanto si parla, e di cui verosimilmente continueremo a parlare almeno fino alle prossime elezioni europee di maggio, non va soltanto da Torino a Lione: questo è un tratto, un pezzetto, di 235 chilometri con un tunnel di 57. In realtà, secondo il progetto originario la Tav va (o meglio, può andare) da Lisbona a Kiev percorrendo tutto il continente europeo e passando per Madrid, Barcellona, Lione, Milano, Venezia, Budapest. (Vedi cartina in calce).

cartina-tav

Più che una spesa, dunque, la linea ferroviaria ad alta velocità è un investimento sul futuro: come tutti i trafori o i tunnel che attraversano le Alpi o qualsiasi altro rilievo. E per quante analisi dei costi si possano fare, nessuno è in grado di calcolare esattamente quali e quanti saranno i benefici che in futuro potrebbero derivarne. Del resto, secondo la normativa europea, l’analisi costi/benefici fu già fatta prima di iniziare i lavori ed è stata aggiornata nel 2015, con risultati favorevoli.

Sull’ultimo studio, affidato dal ministro Toninelli a una commissione presieduta dal professor Marco Ponti, notoriamente già schierato da tempo contro la realizzazione di quest’opera insieme ad altri componenti della stessa commissione, le interpretazioni sono divergenti e controverse (Testo integrale: http://www.mit.gov.it/comunicazione/news/torinolione-ferrovie-alta-velocita-tav/torino-lione-ultimate-lanalisi-costi). Ma basterebbe citare il dato che a far pendere la bilancia contro la Tav sono i mancati introiti per le accise e i pedaggi allo Stato per inficiare la credibilità dello studio: quasi che l’inquinamento prodotto dal traffico di Tir e di auto non rappresentasse un costo per la collettività, in termini di tutela dell’ambiente e della salute collettiva. Di questo passo, dovremmo rinunciare alla lotta contro il fumo e alla ludopatia perché in entrambi i casi lo Stato incassa di meno dalle tasse sulle sigarette e dalle concessioni sul gioco d’azzardo.

Può anche darsi, come teme qualcuno e come accade purtroppo nel nostro Paese per le piccole e grandi opere, che la Tav interessi al “partito degli affari” e stimoli i suoi appetiti. Il rischio c’è e va opportunamente prevenuto e contrastato. Ma non è di per sé un buon motivo per bloccare tutto: altrimenti, in Italia non si dovrebbe costruire più niente, ferrovie, autostrade, ponti, viadotti e via discorrendo. Tanto più che la realizzazione della Torino-Lione comporta comunque un volume considerevole di investimenti e di occupazione (la Confindustria, per esempio, parla di 50mila posti di lavoro).

Bisogna considerare, piuttosto, quanto potrebbe costare all’Italia essere tagliata fuori dalla linea ferroviaria ad alta velocità, se questa passasse invece al di là delle Alpi. È un rischio che possiamo permetterci in tempi di crisi economico-sociale e di recessione? Al “danno emergente”, come dicono i giuristi, si aggiungerebbe il “lucro cessante”. Ossia l’effetto negativo che ne deriverebbe alla circolazione delle merci – in particolare quelle del “made in Italy” – e alle aziende che le producono, isolando praticamente la nostra Penisola dal resto dell’Europa.

La verità è che, con buona pace di chi sostiene che asfaltare una strada non è né di destra né di sinistra, la “querelle” sulla Tav implica una diversa visione dello sviluppo generale del Paese. Se non si fa, la Lega perde la faccia e il consenso di una parte del suo elettorato settentrionale: anche perché il “contratto di governo” contempla testualmente al punto 27 una “revisione” dell’opera, non la sua interruzione. Se invece la Tav si fa, il M5S perde la faccia e l’anima, dopo aver già accettato il Tap (Trans-adriatic pipeline), il gasdotto che dal Mar Caspio sbarcherà sulla costa pugliese, per il quale Alessandro Di Battista ha dovuto chiedere scusa agli elettori salentini per averli “illusi”; poi la riapertura dell’Ilva di Taranto; quindi il Terzo Valico dei Giovi e la sospensione temporanea (18 mesi) delle autorizzazioni per le trivelle petrolifere nel Mar Ionio. D’altra parte, il programma dei Cinquestelle non prevedeva esplicitamente la cosiddetta “decrescita felice”?

Di fronte a questa “impasse” fra gli alleati di governo sulla Tav, sarebbe anche logico ricorrere magari a un referendum consultivo, come aveva ipotizzato il leader della Lega, Matteo Salvini. Ma chi dovrebbe partecipare a questa consultazione? Solo i cittadini piemontesi, più direttamente interessati e coinvolti? Oppure, tutti gli italiani, del Nord, del Centro, del Sud e delle Isole, che possono riceverne benefici o malefici? È singolare e indicativo il fatto che a opporsi a una tale ipotesi siano proprio i grillini che proclamano la “democrazia diretta” e invocano a ogni piè sospinto il giudizio popolare. Sta di fatto, tuttavia, che in Parlamento esiste già una maggioranza trasversale a favore della Tav (centrodestra e centrosinistra) e che forse è ancora più larga nel Paese.

Share this: