RAPPORTO ISPRA 2022: QUESTO MALPAESE FRAGILE E A RISCHIO

RAPPORTO ISPRA 2022: QUESTO MALPAESE FRAGILE E A RISCHIO

Fra i postumi dell’epidemia da coronavirus, sotto le minacce della guerra in Ucraina e l’incubo nucleare, non sarebbe il momento più opportuno per parlare di dissesto idrogeologico. Ma l’ultimo Rapporto dell’ISPRA, l’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale, lancia un nuovo allarme sullo stato del Malpaese che conviene non trascurare per evitare altri danni da frane e alluvioni. E bisogna farlo finché siamo in tempo, perché mai come in questo campo prevenire è meglio che curare.

Il dato più preoccupante è che aumenta la superficie del territorio nazionale in pericolo: rispetto al 2017, +19% a rischio alluvioni. Ma, al contempo, migliora la condizione delle nostre coste (in totale, 8.300 chilometri): i litorali che avanzano sono più di quelle che si ritirano. E per una Penisola come la nostra, circondata quasi completamente dal mare, questa è senz’altro una buona notizia.

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L’Italia resta, purtroppo, un Paese geograficamente fragile e in gran parte anche a rischio sismico. Erosioni e alluvioni minacciano il 94% del territorio, abitato complessivamente da 8 milioni di persone in aree ad alta pericolosità. In particolare, secondo l’ISPRA, sono 1.303.666 i residenti in zone a rischio elevato, su cui insistono 565.548 edifici su un totale di 14 milioni e ben 12.533 beni culturali (fino a 38mila, se si considerano le aree a minore pericolosità) su oltre 213mila. Le regioni maggiormente interessate sono l’Emilia Romagna, la Toscana, la Campania, il Veneto, la Lombardia e la Liguria.

All’origine di questa fragilità, c’è l’espansione incontrollata delle aree urbane che ha ampliato i rischi in carenza di un’adeguata pianificazione territoriale. A ciò s’aggiunge l’abbandono delle aree rurali, collinari e montane, con conseguente mancanza di un presidio umano e di una manutenzione continua. Per di più, in queste condizioni gli effetti dei cambiamenti climatici risultano ancora più devastanti, con eventi estremi, piogge torrenziali e colate di fango e detriti che spesso travolgono le abitazioni e mietono vittime.

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Quanto alle coste, invece, risulta in avanzamento il 20% dei litorali mentre arretra il 17,9%. E ciò si deve, soprattutto, alle opere difensive e di protezione realizzate negli ultimi anni, per contenere l’erosione marina. A livello regionale, l’avanzamento supera l’arretramento in Sardegna, Basilicata, Puglia, Lazio e Campania. Ma, contemporaneamente, le regioni che continuano a essere più esposte all’erosione risultano, nell’ordine, la Calabria (161 chilometri), la Sicilia (139), la Sardegna (116) e la Puglia (95).

Anche qui, dunque, non dobbiamo arrenderci alle cosiddette “calamità naturali” che spesso sono provocate, o comunque aggravate, dal degrado, dall’incuria e dall’abbandono. È il consumo di suolo, innanzitutto, il primo colpevole all’insegna dell’abusivismo e delle cementificazione selvaggia. Ma il territorio, per essere salvaguardato, richiede cura e manutenzione. E questo vale dalle montagne al mare, dove la presenza e la mano dell’uomo possono assicurare quell’opera di prevenzione che è senz’altro più utile e anche più economica della ricostruzione. E’ un patrimonio naturale, storico e artistico, dalla cui conservazione dipende non solo l’assetto idrogeologico, ma anche il turismo che resta la nostra prima industria nazionale con tutto l’indotto e l’occupazione che alimenta.

 

 

 

 

 

 

 

 

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