GUBBIO, RIFIUTI INQUINANTI IN 2 CEMENTIFICI

GUBBIO, RIFIUTI INQUINANTI IN 2 CEMENTIFICI

Gubbio, l’incantevole cittadina medioevale nel cuore dell’Umbria, a rischio diossina. Le aziende del cemento Colacem e Barbetti chiedono alla Regione di bruciare fino a 100mila tonnellate all’anno di Css, il combustibile secondario solido, composto da una frazione secca di rifiuti che minacciano di inquinare l’aria. E la comunità scende in piazza per protestare, insieme a quelle di Perugia, Spoleto e Terni. Ne riferisce ampiamente la giornalista Lusiana Gaita, in un articolo pubblica sul Fatto Quotidiano.it.

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Lo stabilimento Colacem

Sostenuti dal Wwf perugino, diversi comitati locali accusano la Regione, guidata dalle leghista Donatella Tesei, di aver predisposto un piano dei rifiuti per favorire i due cementifici richiedendo 50 milioni di euro del Recovery Fund per costruire tre impianti di produzione del Css. Ma l’autorizzazione a utilizzare questo combustibile, in sostituzione di quelli già in uso, dovrebbe passare attraverso un’Autorizzazione integrata ambientale (Aia). Comune di Gubbio e l’Asl Umbria reclamano perciò una Valutazione preventiva d’impatto ambientale. Ai cementieri, insomma, non bastano più il coke da petrolio, il carbone fossile, l’olio combustibile e il gas metano: per loro, incenerire i rifiuti sarebbe un grosso risparmio.

La “querelle” risale a un decreto dell’ex ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, che all’epoca del governo Monti consentì di incenerire il Css nei cementifici. Nel gennaio scorso, però, 14 Regioni (tra cui l’Umbria) si sono rivolte all’ex ministro, Sergio Costa, e a quello della Salute, Roberto Speranza, per chiederne l’abrogazione. Fatto sta che la disputa divide anche il fronte ecologista, con Legambiente convinta che a determinate condizioni i cementifici possano essere un’alternativa migliore agli inceneritori e alle discariche.

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Il cementificio Barbetti

Spiega l’avvocata del Wwf, Valeria Passeri: “La comunità si oppone per una serie di ragioni. Da più di 60 anni, i due cementifici operano con ‘attività insalubri di prima classe’, uno a circa un chilometro dal centro di Gubbio e l’altro a ridosso della frazione di Padule. Non sono mai stati sottoposti a valutazione di impatto sanitario (VIS) né a valutazioni di impatto ambientale (VIA) o di incidenza ambientale (VincA)”. A parere del legale, ciò “significa decenni di emissioni inquinanti, in una conca intermontana chiusa, soggetta al fenomeno dell’inversione tecnica e senza dati epidemiologici e indagini sanitarie approfondite”.

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Manifestazione di protesta dei cittadini di Gubbio

A questi precedenti, si aggiungono ora i nuovi timori per l’incenerimento del Css che è formato da plastica, vernici, pellicola, fanghi, pneumatici, rifiuti urbani non compostati, scarti di tessuti animali e altri materiali. Per questo, nel novembre 2020 alcuni senatori del M5S avevano presentato una mozione parlamentare chiedendo al governo precedente l’abrogazione del decreto Clini. Ma non tutti sono d’accordo.

Già in passato, come riferisce ancora Il Fatto Quotidiano.it, il presidente di Legambiente Stefano Ciafani aveva dichiarato che bruciare il Css nei cementifici “li obbliga a monitorare alcuni inquinamenti (come le diossine) che la legge non impone di controllare quando bruciano altri materiali”. E il responsabile scientifico della stessa associazione, Andrea Minutolo, aggiunge: “Se accompagnata a un programma che incentivi la differenziata, l’alternativa ai cementifici può essere valida per la parte residua di rifiuti che, altrimenti, finirebbero in inceneritori o discariche”. Ribatte e conclude l’avvocata Passeri, lanciando un allarme: “Nel processo produttivo del clinker per il cemento, le temperature non restano costanti come nell’inceneritore e un loro abbassamento in presenza di Css potrebbe produrre diossine”.

 

 

 

 

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