È certamente legittimo e apprezzabile che un presidente di Regione si preoccupi dell’impatto ambientale che un’opera pubblica può provocare sul proprio territorio, per tutelare l’interesse dei cittadini e la salute collettiva. Fa bene, dunque, Michele Emiliano ad affrontare con cautela e circospezione il “progetto TAP” (Trans Adriatic Pipeline), il gasdotto di 878 chilometri che dal Mar Caspio attraversa la Turchia, la Grecia e l’Albania per raggiungere la costa salentina e collegarsi alla rete nazionale ed europea. Ma sbaglierebbe invece il nostro governatore se utilizzasse strumentalmente questo caso a fini politici: da una parte, per contrastare il governo di Matteo Renzi; dall’altra, per non essere scavalcato dai grillini sul terreno del populismo e della demagogia.
Fu l’infausta riforma del Tito V della Costituzione, approvata nel 2001 dal centrosinistra, a modificare i rapporti fra Stato e Regioni spostando a favore di queste ultime le competenze che prima erano attribuite al potere centrale: dall’autonomia legislativa a quella finanziaria, dalla sanità all’energia. E ai suoi tempi, quando Pierluigi Bersani voleva ancora “smacchiare il giaguaro”, lui stesso riconobbe la necessità di correggere quel testo. Alla frammentazione dei poteri che ne è derivata si deve, fra l’altro, il vertiginoso aumento della spesa pubblica negli ultimi 10-15 anni che ha aggravato il bilancio pubblico. Poi, la legge cosiddetta “Sblocca Italia” ha ripristinato un equilibrio più ragionevole e funzionale, pur rispettando sostanzialmente l’autonomia degli enti locali.
La valutazione sulle infrastrutture considerate “strategiche”, com’è appunto un gasdotto internazionale, è stata restituita così allo Stato superando il passaggio obbligato delle cosiddette “intese forti” con le Regioni. Ma ora l’ultima “querelle” riguarda le opere definite “ancillari”, cioè accessorie, per le quali il governo ritiene che valga la medesima deroga generale. Contro questa interpretazione estensiva, in attesa che si pronunci il Consiglio di Stato, ora Emiliano ha diffidato il governo chiedendo di sospendere l’autorizzazione unica ministeriale.
Siamo, dunque, di fronte a una “impasse”, a uno stallo. Nel braccio di ferro tra Stato e Regione, s’intrecciano – come si vede – prerogative e motivazioni più o meno legittime, in un conflitto di competenze che minaccia di bloccare o di ritardare il completamento del gasdotto. Eppure, è chiaro ed evidente che le opere cosiddette “ancillari” non possono che essere funzionali alla realizzazione di quella “strategica”: un’infrastruttura del genere, dopo aver attraversato il Mar Adriatico, rischia altrimenti di arenarsi davanti alle coste italiane per un cavillo giuridico dietro cui c’è il sospetto che si nasconda un contrasto politico fra il presidente della Regione e il presidente del Consiglio.
Al di là dell’ambito più strettamente territoriale, il “caso TAP” può assurgere perciò a paradigma di uno scontro di potere fra il governo centrale e gli enti locali, rientrando nel quadro della controversa riforma costituzionale che sarà sottoposta al referendum di ottobre. Un motivo di più, quindi, per votare Sì all’ammodernamento della nostra Costituzione. La verità è che, come scrive Roberto Bin in un lucido saggio per la rivista dei gesuiti Aggiornamenti Sociali, “molte delle competenze che ora emigrano dallo scaffale delle materie ‘concorrenti’ (in cui lo Stato può fare solo leggi di principio, mentre tutto il resto, amministrazione compresa, spetta alle Regioni) a quello delle materie ‘esclusive’ dello Stato, erano state messe nello scaffale sbagliato dalla riforma del 2001”. E tra queste, vanno compresi senz’altro la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia: tant’è che la stessa Corte, materia dopo materia, ha gradualmente riportato tali competenze in capo allo Stato.
In vista del prossimo referendum autunnale, osserva ancora il professor Bin, docente di Diritto costituzionale a Ferrara: “Sono, quelle dei rapporti fra Stato e Regioni, questioni molto complicate in cui è assai difficile muoversi senza impegnarsi in problemi tecnici intricati. Mettere un po’ di chiarezza perciò non è affatto sbagliato. Anche in questo caso, però, la riforma non pone la parola fine, ma apre la porta all’innovazione”. A suo giudizio, nell’unico Paese con un governo “multilivello” (Stato, Regioni, enti locali) che non abbia solide sedi istituzionali di cooperazioni, è proprio questo il motivo per cui in Italia si assiste a un contenzioso record fra Stato e Regioni. Da qui, l’opportunità di definire meglio i rapporti tra il futuro Senato e il “sistema delle Conferenze” che al momento è l’unico strumento attraverso cui il governo centrale si coordina con quelli locali.
Sarà, dunque, il “gasdotto della discordia” a favorire un chiarimento istituzionale su questo punto decisivo? O meglio, saranno le opere “ancillari” del TAP a contribuire alla ricerca di una soluzione valida e accettabile? Ancora una volta la Puglia diventa così il laboratorio di un esperimento politico che può rappresentare un test per tutto il Paese.
Giovanni Valentini
(da “La Gazzetta del Mezzogiorno” – 13 luglio 2016)
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