UN CAMBIO DI PAESAGGIO: LE ENERGIE RINNOVABILI CONTRO LA CRISI CLIMATICA

UN CAMBIO DI PAESAGGIO: LE ENERGIE RINNOVABILI CONTRO LA CRISI CLIMATICA

EDITORIALE

Più che un sasso è un macigno nello stagno, quello lanciato da Enzo Scandurra con un articolo apparso sul Manifesto sotto il titolo “Il cambiamento necessario del nostro paesaggio”. E non solo perché Scandurra è un personaggio autorevole, urbanista, saggista e scrittore; già ordinario di Urbanistica all’Università La Sapienza di Roma, direttore del Dipartimento di Urbanistica e Architettura. Ma anche per l’orientamento politico e culturale, dichiaratamente di sinistra, del giornale che ha pubblicato il suo intervento.

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L’articolo parte dal presupposto che “la comunità scientifica internazionale è ormai unanime nel ritenere che l’energia del futuro non possa che essere di provenienza solare, pena l’apocalisse climatica”. E ricorda che la transizione energetica prevede che entro il 2030 il 72% venga prodotto da rinnovabili. “Dunque il Paesaggio prossimo venturo – scrive l’urbanista – sarà caratterizzato dall’abbandono delle energie fossili, dalla scomparsa delle ciminiere delle grandi fabbriche, da motori silenziosi che anziché produrre CO₂ lasceranno sull’asfalto scie d’acqua (motori a idrogeno”. E, aggiunge lui stesso, “da campi sterminati che da lontano sembrano laghi ma che in realtà sono distese di fotovoltaici. E come nei paesaggi di don Chisciotte, nelle campagne si vedranno pale meccaniche sulle vette delle montagne sferzate dal vento”. In compenso, aggiungiamo noi, sono destinate a scomparire le grandi centrali elettriche e i mostruosi tralicci dell’alta tensione disseminati sul territorio.

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Da qui, secondo Scandurra, “la prospettiva di un cambio di Paesaggio, come altri ce ne sono stati in passato, letti e interpretati dai grandi narratori che annunciarono i cambiamenti allora appena visibili”. Lo stesso urbanista insiste su questo tasto: “Il Paesaggio cambia, è sempre cambiato, sia nelle grandi città che in campagna. E ora siamo costretti a cambiarlo ancora e con urgenza, questa volta”.

Qui arriviamo al punto cruciale dell’articolo. “Quello che chiamiamo Paesaggio – sostiene l’autore in una prospettiva storica – è un processo di adattamento e coevoluzione tra uomo e ambiente e dunque modificabile nel tempo”. La conclusione è più che esplicita: “Se non vogliamo correre il rischio di estinguerci allora dobbiamo modificare i nostri criteri di valutazione accettando che il Paesaggio prossimo venturo sia diverso da quello attuale”. In caso contrario, avverte l’urbanista, “comunque questo Paesaggio futuro sarà diverso ma in un modo che non ci piacerà perché ci vedrà soccombere all’apocalisse”.

È difficile trovare parole più chiare e convincenti per immaginare la grande trasformazione ambientale che la transizione energetica necessariamente comporta. Questo potrà anche contrariare i puristi del Paesaggio, le vestali di un’Arcadia elevata a topos letterario di un mondo idilliaco, i custodi di un Paradiso terrestre ideale. Sta di fatto, però, che la visione di Scandurra è ispirata a quel “sano pragmatismo” che deve guidare il neo-ambientalismo, se si vuole governare e non subire la transizione ecologica.

Ora è vero che l’articolo 9 della nostra Costituzione prevede esplicitamente la “tutela del paesaggio” insieme a quella del patrimonio storico e artistico della Nazione. Ma qui ormai si tratta di conciliare questa sacrosanta esigenza con la stessa sopravvivenza del genere umano. Senza la transizione energetica, all’insegna delle fonti rinnovabili come il sole, il vento e l’idroelettrico, il mondo non sarà migliore. Il cambiamento climatico imporrà il cambiamento del paesaggio in modo traumatico e devastante.

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Naturalmente, si può e si deve discutere su dove e come installare i campi fotovoltaici e i parchi eolici, a terra o in mare, per rispettare il più possibile le caratteristiche morfologiche del territorio. Bisogna impedire uno scempio del Paesaggio che, soprattutto per un Paese come il nostro, rappresenta una risorsa nazionale anche dal punto di vista turistico e quindi economico e occupazionale. Dobbiamo convincerci, però, che c’è una nuova scala di priorità da rispettare: quella dettata dalla necessità di evitare l’ulteriore surriscaldamento del pianeta, con i danni e le conseguenze apocalittiche che già oggi si possono immaginare.

 

 

 

 

 

 

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